Di Yuri Di Benedetto
Giovedì sera ho avuto il privilegio di assistere all’inaugurazione della stagione sinfonica a Roma, con La Walchiria di Richard Wagner proposta dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Roma è una città tutt’altro che wagneriana, eppure questa musica trova qui una monumentalità che risuona profondamente: in fondo, cos’è Roma se non l’unica città che è stata capitale di più imperi? E cos’è l’opera di Wagner se non un’elaborazione musicale che attinge a grandi miti e al destino, all’eterno?

Wagner non è solo musica: è una visione estatica che si fa suono, una tempesta che diventa destino e luce. Brünnhilde cavalca tra i mondi, portando il fuoco del coraggio e l’anelito all’eterno. E Wotan è presente nella sua divinità, turbato dal desiderio di assistere al sorgere di un superuomo, capace di essere più libero del Dio stesso e di dominare il mondo grazie alla purezza del cuore.
In ogni nota, l’esaltazione richiama il culto dell’eroe e il sacrificio redentore della colpa, anche la più grave. Con la potenza epica e drammatica del mito nordico, la Cavalcata delle Valchirie evoca un amore terribile per la guerra, la passione, il destino e l’eterno conflitto tra ciò che comanda l’amore e ciò che impone il dovere.
L’orchestra è stata meravigliosa; la sala, progettata da Renzo Piano, garantisce un’acustica impeccabile. Unica nota dolente, che rivela lo spirito del tempo, riguarda l’allestimento scenico e le scelte di regia e casting. Ho percepito una volontà di ridimensionare l’esaltazione estatica di Wagner, con la scusa dell’essenzialità e la modernità: depotenziare e infantilizzare uno dei momenti più iconici dell’opera, invece di rendere potente il coro delle Valchirie, con luci che esplodono al ritmo della cavalcata. Io ho deciso di ascoltare ad occhi chiusi quella parte sublime, ed è scesa anche una lacrima di commozione per il sentimento che divampava in me.

E poi la scelta del cast: l’interpretazione di Siegmund affidata a un attore afroamericano, per quanto virtuoso, mi è sembrata discutibile sul piano estetico e stilistico dell’intero allestimento. Non nasce da una critica alla bravura dell’interprete, ma da una riflessione sull’aderenza estetica e culturale del progetto nel suo insieme.
In conclusione, la serata ha celebrato la grandezza musicale e la potenza visionaria di Wagner, offrendo al contempo spunti di riflessione sull’interpretazione scenica contemporanea. La musica resta l’elemento dominante, capace di trasformare le emozioni in un coro di fuoco e destino.

