Perché la bellezza è così crudele quando non ci appartiene?
Perché la bellezza è così crudele quando non ci appartiene?

Perché la bellezza è così crudele quando non ci appartiene?

Verso un’etica dell’estetica in un mondo spezzato

Di Maria Antonova

La bellezza, quando non ci appartiene, ci ferisce. È come un richiamo che sfiora, ma non abbraccia. Una tensione che ci interroga, ci provoca, ci spinge oltre noi stessi. Perché la bellezza, che dovrebbe elevarci, può farci sentire esclusi, insufficienti, distanti?

La risposta è psicologica e sociale, ma anche metafisica. La bellezza non è una decorazione, bensì una forza: chi la nega o la prostituisce si spezza. Freud ha mostrato come il desiderio ci definisca, ma ciò che più ci definisce è ciò che ci manca. La bellezza che non possiamo possedere è uno specchio che ci rimanda alla nostra imperfezione, alla nostra nostalgia dell’intero. Da qui la crudeltà: non è la bellezza a farci soffrire, ma il nostro distacco da essa.

Festinger lo traduce in termini sociologici di confronto sociale, autostima e invidia. Per Pierre Bourdieu il gusto è sempre sociale. La bellezza diventa capitale simbolico, uno strumento per distinguere, per affermare, per escludere. Chi ha accesso ai codici della bellezza dominante è dentro il cerchio. Chi non li ha, resta fuori.

Oggi, l’estetica è spesso modellata dal consumo, monetizzata e rivenduta come merce. Non eleva, ma classifica. Non libera, ma omologa. Berscheid e Walster hanno dimostrato l’esistenza dell’effetto alone: chi è bello è anche considerato più giusto, più intelligente, più valido.

René Girard ha parlato di desiderio mimetico perché vogliamo ciò che vogliono gli altri, non ciò che ci serve. In questo senso, la bellezza altrui, resa inaccessibile da canoni, filtri, algoritmi, diventa una promessa crudele. Desideriamo ciò che è lontano, perché è proprio quella distanza a renderlo desiderabile.

Il paradosso moderno è che la bellezza è ovunque, ma non appartiene più a nessuno, più che mai visibile è al contempo vuota in una società che la mostra, la impone, ma non la coltiva. Una bellezza di superficie destinata a non produrre frutti.

In molte tradizioni antiche era invece una forza ordinatrice, un’ armonia che nasceva dall’equilibrio tra l’interno e l’esterno, tra etica ed estetica, tra la forma e ciò che la abita. L’eroe greco, ad esempio, era bello, ma anche giusto, coraggioso, integro. La bellezza era un segno di compimento umano, invece di un fine da esibire o possedere, un passaggio iniziatico. I miti, le leggende, le storie d’amore impossibili, da Euridice a Beatrice, non raccontano il possesso, ma la trasformazione del desiderio in conoscenza. La bellezza non posseduta diventava forma simbolica, nostalgia di un’unità perduta, il richiamo a un’altra dimensione dell’essere.

Abbiamo separato il bello dal bene, kalós kai agathós era l’unità perduta, e l’essere belli significava essere giusti, degni, nobili.

La bellezza autentica è una forza unificatrice. Superficialmente potrebbe sembrare estetica isolata, ma è invece una forza interiore che si rende visibile. Se invece è estetica senza etica, allora inganna solamente.

Non è quindi la bellezza ad essere crudele, lo siamo noi, quando la riduciamo a merce o la invidiamo invece di servirla. Essa ci chiama, ci scuote, ci interroga. Se non ci appartiene, è perché dobbiamo ancora innalzarci per abitarla. Accettare la bruttezza del mondo moderno come norma è arrendersi. L’etica della bellezza, oggi, è resistenza.


Freud, S. (1913). Totem und Tabu. Vienna: Hugo Heller.

Festinger, L. (1954). “A Theory of Social Comparison Processes.” Human Relations, 7(2), 117–140.

Bourdieu, P. (1984). Distinction: A Social Critique of the Judgement of Taste. Cambridge, MA: Harvard University Press.

Walster, E., Aronson, V., Abrahams, D., & Rottman, L. (1966). “Importance of physical attractiveness in dating behavior.” Journal of Personality and Social Psychology, 4(5), 508–516.

Girard, R. (1961). Deceit, Desire and the Novel. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press.

Girard, R. (1972). Violence and the Sacred. New York, NY: Continuum.