The new world order: ormation of a multipolar world and the role of Russia
The new world order: ormation of a multipolar world and the role of Russia

The new world order: ormation of a multipolar world and the role of Russia

Il 24 aprile 2025, il socio di Aurora Andrea Giumetti ha avuto il privilegio di poter intervenire alla conferenza internazionale “The new world order: ormation of a multipolar world and the role of Russia”. Il simposio, organizzato dall’Accademia delle scienze russa, si è tenuto nella sala rossa del Metropol di Mosca, e ha accolto 17 tra studiosi, professori universitari, cariche diplomatiche e politiche, provenienti da tutti i continenti in qualità di relatori. Tema della giornata di studi è stato per l’appunto raccogliere riflessioni e spunti, da punti di vista molto differenti, rispetto ad un tema di assoluta importanza, di cui tuttavia si parla sempre poco e quasi sottotono, soprattutto tenendo conto della cappa di censura che in molti paesi europei è ormai calata nei confronti di tutto ciò che riguarda la geopolitica e la cultura russe. Qui di seguito l’intervento di Andrea Giumetti, esposto originariamente in inglese:

Nel 1911 Filippo Tommaso Marinetti, padre del movimento di avanguardia del Futurismo, pubblicò un pamphlet dal titolo La Guerra, Unica Igiene del Mondo. Il titolo colpisce per la sua durezza, che in prima battuta potrebbe far pensare ad un discorso folle e terrificante, ma in realtà la celebrazione della guerra proposta da Marinetti non era nulla di più che un medium allegorico. La guerra era l’unica igiene del mondo, semplicemente perché rappresentava l’unico fenomeno sociale in grado di mandare del tutto in frantumi la maschera placcata d’oro del perbenismo e del manierismo della società borghese. La guerra era in grado di far emergere il peggio e il meglio che gli esseri umani potevano offrire: eroismo e spirito di sacrificio per la collettività, tanto quanto l’odio traditore e disumanizzante per il “nemico”. Un rispetto di fondo tra i combattenti per chi, anche dall’altra parte del fronte, era pronto a morire per proteggere la propria casa, ma anche comandanti che sprecavano centinaia di vite umane e risorse nazionali senza un reale scopo.

Ecco, ancora una volta la profezia di Marinetti ha trovato conferma nel momento in cui le élite europee, schierandosi con Kiev, hanno avviato la loro propaganda culturale, finalizzata a far virare le coscienze delle masse verso la disumanizzazione del nemico del momento. Tuttavia, siccome biasimare un governo, rispetto ad un popolo intero o una bandiera, richiede una complessità e una ricchezza di pensiero che la maggior parte dei media sponsorizzati dal governo non sono in grado di esercitare, il messaggio “accettabile” che è stato fatto passare è stato semplicemente: “odiate i russi”.

Noi europei occidentali, nel giro di pochissime settimane, abbiamo cominciato nuovamente a parlare, nei media, nelle università e nei luoghi di potere, della guerra: chi si conformava alla narrativa centrale, anche a discapito delle più basilari nozioni di storia, politica e strategia, era promosso. Chi deviava dal mainstream finiva invece marginalizzato. Decadi di propaganda su cosa fosse accettabile e cosa no hanno, infine, pagato i loro dividendi alle istituzioni europee e ai governi dei paesi europei. Ma come la storia ci insegna, non avere una vera opposizione è di solito una strada che conduce al declino e alla sconfitta: nella loro Hybris, le élite politiche europee non hanno realizzato che il mondo stava cambiando. Noi europei occidentali abbiamo sovrastimato il ruolo dell’economia come motore delle politiche. Abbiamo accettato un ruolo passivo nell’architettura politica americana, senza realizzare che questa stava progressivamente diventando più unilaterale e verticale, perdendo anche buona parte di quella garanzia militare che offriva. Noi ci siamo convinti di essere il motore culturale egemone del mondo, e dunque abbiamo attivamente lavorato per liquefare le nostre tradizioni, le nostre eredità storiche e la nostra spiritualità.

E poi quali sono stati i risultati? Che quando la guerra in Ucraina ha avuto la sua escalation, tutte queste ipocrisie di autocompiacimento sono andate in pezzi. Perfino dire la semplice verità che la guerra in quel Paese andava avanti dal 2014 è diventata assurdamente difficile nel circuito dei media mainstream. Con il lancio dell’Operazione Militare Speciale abbiamo “scoperto” che la guerra è effettivamente qualcosa che esiste ancora. Che l’economia reale può sopravvivere anche senza la salute delle istituzioni finanziarie. Che le persone potevano ancora credere e unirsi rispetto ad un obiettivo collettivista, se questo è fondato sui loro valori culturali profondi. I capi di stato maggiore in tutta Europa hanno realizzato che una moderna guerra simmetrica richiede più denaro, scorte e addestramento di nuove e volenterose reclute rispetto a quello che si immaginava. In altre parole, le élite militari hanno realizzato che il loro modello di organizzazione, preso in linea di massima, era inadeguato a sostenere una guerra moderna, e dunque si è cercato sia di correre ai ripari per recuperare ciò che mancava, ma anche di calmare i toni generali del discorso politico. Ma mentre ciò avveniva tra i militari, nelle stanze della politica, specialmente nei centri di controllo delle istituzioni europee, ci si rendeva conto di ben altro.

Le élite politiche hanno infatti realizzato che la guerra era una grandissima opportunità per capitalizzare politicamente ed economicamente sullo stato di paura e instabilità. Ora, tenendo conto dei principi di Machiavelli su quello che definisce un buon politico, si potrebbe in qualche misura rispettare questa scaltra mossa politica, col dettaglio che non è questo il caso, poiché le élite politiche europee mancano di un elemento essenziale per ogni buona politica di consolidamento: non hanno infatti un’agenda geopolitica precisa. Come molti di voi sicuramente sapranno, il processo di coesione europea è stato di fatto bloccato con la decisione del popolo francese di bloccare l’iter per la definizione di una costituzione europea, nel 2007. Quella carta, che era ispirata dalla visione di una grande federazione europea del visconte di Kalergi, ma anche dai principi socialdemocratici e umanisti alla base della costituzione italiana, avrebbe dovuto essere l’architrave di un’Europa più indipendente dal punto di vista economico, culturale e diplomatico. Invece, il cammino che si è scelto è stato quello dell’Unione Europea, ovvero quello di un’istituzione economica privata, la BCE, un parlamento che sostanzialmente non ha quasi alcun potere politico, e una commissione dove lo strumento principale per il raggiungimento del consenso è il ricatto politico.

Questo bizzarro sistema ibrido ha nel tempo creato un ciclo di autocompiacimento che, alla riprova dei fatti, ha partorito una quasi completa stagnazione politica. Tale stato di fatti è apparso particolarmente evidente nella frustrazione espressa da Mario Draghi, precedentemente CEO della Banca Centrale Europea, nella sua relazione sulla competitività dell’Unione. Draghi, che è evidentemente una delle massime incarnazioni dell’uomo facente parte delle élite europee, ha sottolineato con forza la necessità di un cambio di rotta nel livello qualitativo dell’efficacia delle relazioni geopolitiche da parte dell’Europa. Lui in persona ha raccomandato un intervento più incisivo e innovativo nell’economia attraverso lo strumento del finanziamento pubblico, nelle sue parole strumento eccellente per ridurre la dipendenza sia dal mercato cinese, sia anche e soprattutto da quello americano. Infine, Draghi ha raccomandato una politica estera più coesiva e per una pianificazione comune per l’industria militare e per la politica estera. Ma tutte queste raccomandazioni, particolarmente sorprendenti provenendo da una persona profondamente immersa in determinati meccanismi sociopolitici, sono rimaste lettera morta.

I media hanno a malapena toccato la notizia, e la Commissione Europea, non con le parole ma nei fatti, ha continuato ad agire come ha sempre fatto: dando priorità agli interessi franco-tedeschi, con particolare enfasi sul lato economico, e sul lato tedesco. Abbiamo brevemente parlato della crisi di approvvigionamento militare che l’Europa sta vivendo. Ebbene, la Commissione Europea ha finalizzato recentemente uno stanziamento straordinario di finanziamento per 400 milioni di euro,  denominato Piano ASAP, che doveva servire a potenziare la produzione di munizioni nell’Eurozona. Ebbene, se si vanno a vedere i documenti pubblici che indicano dove questi finanziamenti sono andati a finire, emerge evidente come metà dei fondi siano andati a finire direttamente in aziende tedesche, o rami di aziende tedesche in altri Paesi. In un periodo storico in cui il settore dell’Automotive tedesco è in crisi, e il cancelliere uscente Scholz aveva pubblicamente espresso l’intenzione di potenziare il settore dell’industria militare tedesca quale strumento per rivitalizzare l’economia del Paese e aumentare l’occupazione, tutto ciò suona piuttosto peculiare. Inoltre, non si può non evidenziare come il livello di profondità di pensiero strategico delle élite politica europea sia così basso da non aver realizzato, a dispetto delle evidenze, che è stato proprio il modello liberista e della privatizzazione quello che ha causato in prima battuta la crisi militare.

Perché questo avviene? Molto semplice: per un’impresa privata è semplicemente non conveniente rendere i propri prodotti troppo economici e troppo disponibili. Per rendersene conto, è sufficiente guardare come i Paesi dove la difesa non è interamente delegata a compagnie private abbiano risposto molto meglio alla crisi. La Federazione Russa ne è un ottimo esempio in primis, ma anche restando più vicini possiamo ad esempio osservare il caso della serba Yugoimport, una compagnia a completo controllo statale, che ha dimostrato grande capacità strutturale e di reattività rispetto alla sfida logistica. Dunque, se l’Unione Europea non ha un’agenda politica per la difesa chiara e definita, ma sta solo finanziando il settore privato, cosa succederà quando i magazzini saranno di nuovo pieni, e il peso per la spesa militare premerà direttamente su quella per il welfare? In quanto persona in età da combattimento, che abita al momento in Europa Occidentale, confesso che guardo con grande preoccupazione a quel momento.

Dunque, per tirare le somme del mio intervento. Ritorniamo alla dichiarazione di Marinetti: “Guerra Unica Igiene del Mondo”. Possiamo tranquillamente dire che lo stato di guerra che il conflitto in Ucraina ha aperto, ma che continua effettivamente anche nella guerra commerciale attualmente in corso, ha effettivamente mandato in pezzi la maschera di ipocrisia del mondo occidentale. Noi ora ci troviamo all’avvento di un mondo Multipolare. È così vicino che potremmo allungare la mano e toccarlo. E tuttavia le élites politiche europee, che hanno passato gli ultimi anni a ripetere costantemente che viviamo nel più perfetto dei mondi possibili, rifiutano testardamente di vederlo. Ora che la dottrina politica dell’amministrazione Trump ci sta spingendo in questa direzione, questi dirigenti non hanno idea di come muoversi in questo nuovo mondo, né sanno cosa richiederà farlo. Noi in Europa siamo stati l’Arabia Felix di un impero per così tanto tempo che oggi, che questo sta crollando, la nostra classe politica semplicemente non sa cosa fare. In conclusione, vorrei chiudere con una citazione del grande filosofo politico Antonio Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo, il nuovo tarda ad arrivare, e in questo chiaroscuro nascono i mostri”.

Andrea Giumetti