FUMO NEGLI OCCHI
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FUMO NEGLI OCCHI

Ultime dal mondo “social” politico

Di Paola Di Blasio

Inizio mettendo subito le mani avanti: non sono un’esperta politologa, né di economia, tanto meno di cambiamenti climatici. Non sono una geofisica, una scienziata o un luminare, nulla di tutto questo però ho un cervello che sembra funzionare piuttosto bene e soprattutto ho un vissuto che può darmi una mano quando è il momento di esprimere opinioni – credo sia ancora lecito farlo – e prendere posizione. Sono in una fase della vita in cui posso vantarmi o lamentarmi di avere una certa età, potendomi affidare a un tipo di conoscenza che definirei empirica. Ho un’idea e una percezione di come vada il mondo e di come esso possa essere strutturato, anche in minima parte. Sgomberiamo il campo da facili fraintendimenti, non sono qui a declamare presunte verità o chissà quali saggezze conclamate; il mio ruolo è quello di una cronista, che cerca di riportare fatti e situazioni e di analizzarle secondo diverse chiavi di lettura.

 In genere, prima di mettermi al computer per scrivere un pezzo che parli di attualità o politica mi sottopongo sadicamente alla visione di talk show e dibattiti da salotto, per apprendere le tendenze del momento e tastare il polso del paese. Mi trasformo anche in un’attenta osservatrice delle “verità altrui”, quelle elargite sui social con tanta dimestichezza e qualunquismo. Analizzo e studio le storie di Instagram in cui si glorifica o si distrugge tal politico o tal’altra personalità, a seconda di dove spira il vento. Ebbene, quello che salta all’occhio è che di tante parole non c’è un chiaro riscontro con la vita reale e quello con cui sono costretti a scontrarsi i cittadini quotidianamente.

Questione economica e sociale

Ho sentito molti esponenti politici schierarsi in maniera critica e veemente nei confronti dei sussidi che vengono elargiti in questo paese da qualche anno a questa parte, parlandone come di una misura inutile o di un’elemosina garantita a fannulloni e giovani svogliati. Sono state tirate in ballo, nello stesso discorso del reddito, altre problematiche come quello relativo al tasso demografico spaventosamente basso e molti altri effetti collaterali.  Una costante politica è l’abilità con cui ci si guarda bene dall’unire tutti i puntini per avere delle risposte immediate ed efficaci in grado di farci analizzare e, in buona parte, tentare di farci arginare il problema. Non si uniscono i puntini perché non c’è alcuna volontà di risolvere il quesito, anzi, sia esso il benvenuto: aiuta a esacerbare gli animi di chi ascolta e a rimarcare le divisioni settarie. Viviamo in un’epoca di grande pressione fiscale e di grandi difficoltà economiche: il costo della vita media è sempre più elevato; pagare un affitto o un mutuo diventa affare per pochi. Di fatto, pagare l’affitto può essere semplice, meno semplice è sopravvivere con quello che resta dello stipendio una volta tolti i costi dell’affitto. Si è costretti dunque a tirare la cinghia. Mettere su famiglia e crescere dei bambini in un contesto simile e in tale tessuto sociale equivale a un azzardo, se non c’è un aiuto concreto alle spalle, e non è detto che debba essere solo di natura economica. La rete di cura e supporto inizia anche dalle condizioni favorevoli che si è in grado di creare attorno al cittadino, siano esse di natura logistica, lavorativa, economica e sociale.

Se parliamo della situazione femminile, il nostro è un paese in cui si chiede alle donne di essere o madri o lavoratrici o anche entrambe le cose, senza però metterle in condizione di potersi destreggiare senza difficoltà tra questi ruoli. Facile a dirsi, molto meno a farsi. A meno che non si possa contare sull’aiuto dei nonni, i quali non andrebbero nemmeno ingabbiati e privati dei loro anni di riposo, avendo diritto a tranquillità e a giornate di spensieratezza e di dolce far niente dopo una vita di lavoro, fare figli e dedicarsi con costanza al lavoro resta impresa ardua. Quando mancano i nonni a sostituirsi ai genitori e non c’è la possibilità di pagare una baby sitter, un pre o un doposcuola, l’unica cosa che si può fare è rinunciare al lavoro per occuparsi della famiglia. E va bene anche così, se la scelta è volontaria. Oggi c’è una demonizzazione della figura materna e della casalinga o della donna che decide di occuparsi della famiglia, dei figli e del marito o della moglie – sennò si incazzano ventordici categorie protette –  scegliendo di dire no al lavoro fuori casa. La donna, in questo caso, viene vista come una schiava della società patriarcale, ma se rivestire interamente il ruolo genitoriale e domestico è frutto di una libera scelta, non c’è alcun modo di poter parlare di schiavismo o schiavitù. Di chi si sarebbe schiavi, della propria famiglia? Mentre lavorare per uno stipendio sottopagato e senza alcuna tutela è una boccata d’ossigeno puro. In questi termini comunque dovremmo parlare di schiavitù anche per mansioni come quello della baby sitter o della colf, delle badanti e delle collaboratrici domestiche. Un problema di fondo però c’è: una mamma che svolge tutti i lavori delle figure sopracitate non percepisce alcun contributo, non viene pagata e soprattutto viene vista come una donna che non lavora e che non ha alcun posizionamento nella società. Ma se esistono persone che fanno esattamente le stesse mansioni e stipendiate per questo, perché una donna che lavora in e per la propria casa non dovrebbe guadagnare alcun compenso? Non sta forse tenendo in piedi un nucleo famigliare dal quale usciranno gli individui che faranno parte, un giorno, della società? Non sta educando i figli ad essere cittadini rispettosi e civicamente consapevoli? Non andrebbe mai criticata o sminuita una donna che ha tutte le intenzioni e il desiderio di occuparsi della propria casa e del nucleo famigliare; alla luce dei fatti odierni è una scelta ammirevole e in molti casi coraggiosa.

Il problema si pone invece quando per mancanza di alternative, aiuto e strutture, supporto economico e non, si è costrette a fare la mamma e coloro che preferirebbero fare entrambe le cose, la mamma e le lavoratrici, sono costrette a barcamenarsi fra mille difficoltà. Il nostro Stato ci impone una scelta: o l’una o l’altra cosa. Inspiegabilmente non riusciamo a essere al passo con gli altri paesi in cui molte aziende forniscono servizi di accudimento e nursery sul luogo di lavoro, in modo da reintrodurre in maniera molto più semplificata il genitore. Attenzione, questo discorso non va limitato alla sola figura materna, è assolutamente estendibile a quella del padre che ha gli stessi diritti di decidere come e quale ruolo assumere nella società. Troppo spesso ci si dimentica che una vita versatile e dinamica su più fronti, rende le persone anche più soddisfatte e questo aspetto psicologico, della serenità e del benessere, non viene quasi mai preso in considerazione. I lavoratori frustrati rendono meno; i lavoratori preoccupati lavoreranno peggio e porteranno le frustrazioni e le preoccupazioni in casa, trasformandosi in genitori con la tendenza ad essere più nervosi e meno empatici con i figli, col serio rischio di innescare un effetto burnout anche tra le mura domestiche. Come ci si può lamentare del fatto che in Italia si facciano pochi figli se le condizioni sono queste e se quei pochi aiuti elargiti vengono anche messi in discussioni e minacciati di essere eliminati? Non vorrei sembrare populista e nemmeno fare della demagogia spicciola, ma si fa fatica a comprendere come un politico che magari nella vita non ha mai fatto un lavoro diverso da quello di sedersi dietro una scrivania o essere un quadro politico, guadagnando lauti compensi, senza dimenticare vitalizi vari e diversi privilegi a livello economico e sociale, fare la morale o colpevolizzare chi percepisce 600/ 700 euro al mese grazie ai sussidi di Stato.  Non paghi, introducono tutta una narrativa volta a distruggere l’inoccupato che ne usufruisce, scatenandogli contro il resto della popolazione. Il solito gioco della divisione e del tutti contro tutti. Vengono demonizzati gli aiuti sociali quando in realtà sono le uniche forme più immediate per far girare l’economia su scala ridotta. Questo si traduce in guadagno anche per tutto il comparto che può esservi attorno a una famiglia che viene aiutata economicamente, e se questo discorso lo estendiamo a più famiglie ecco che si andrà a creare maggiore offerta, lavoro, produzione, attività, spesa e guadagni e tutti ne beneficiano.

A questo punto mi è doveroso aggiungere una postilla riguardo proprio il mondo del lavoro. Questa santificazione a tutti i costi del lavoro ormai è diventata stucchevole. Lavorare aiuta certo a sentirsi meglio e a percepirsi come parte attiva del paese, ma esso non dovrebbe costituire l’unica ragione di vita, al punto che in sua assenza ci si sente come se si fosse persa la dignità di essere umano o ci si guarda come a un fallimento completo, oppure si viene trattati come dei pesi inutili sulle spalle della società. Se il lavoro è un diritto, alla luce di quanto succede nel nostro paese, dovremmo lasciarci andare a una provocazione bella e buona e iniziare a pensare al lavoro come a un di più, un passatempo che spezzi la nostra quotidianità fatta di interessi, passioni, ore da destinare alla famiglia, agli affetti, agli amici, alla cultura e al proprio benessere. Con tutto il patrimonio artistico che abbiamo in Italia dovremmo avere di diritto invece che il lavoro, la possibilità di visitare le nostre città d’arte, i musei, le chiese e i siti archeologici come anche le cittadine e i borghi di mare, i paesi arroccati sulle nostre colline o abbarbicati sulle vette, conquistando poi le cime più mitiche delle nostre Alpi e degli Appennini. E tutto a spese dello Stato, che dovrebbe avere a cuore la cultura dei propri cittadini e la valorizzazione del territorio.   Invece ci viene raccontato che dobbiamo lavorare, lavorare, lavorare e lavorare 5 o 6 giorni su 7 e alcuni anche per una settimana intera, per un anno salvo pochi giorni di ferie all’anno, in cui spesso sei talmente stanco e hai anche talmente pochi soldi da non poterti permettere neanche una vacanza, un momento di assoluto riposo e ristoro del fisico e della mente.

Trovo tutto questo assolutamente immorale, una schiavitù legalizzata e socialmente accettata che viene rinsaldata dalle opinioni di chi fa parte di questo stesso ingranaggio spietato, non solo il datore di lavoro ma anche il cittadino comune, indirizzato nei fatti, nei pensieri e nelle opinioni, subendo le stesse angherie sociali ed economiche di cui si fa portavoce e sostenitore. Per questo e altri motivi andrebbe rivisto il settore lavorativo; così facendo forse riusciremmo a migliorare un attimo la situazione del benessere sociale. Teniamo bene a mente che uno Stato che non ha a cuore il benessere dei cittadini non può considerarsi uno Stato civile ed è per altro condannato a fallire, perché si limita solo ad allevare cittadini frustrati e delusi, che si sentono impotenti e svuotati di energie, sogni e speranze e che quindi rinunceranno con molta facilità a lottare e a impegnarsi per costruire, con la collaborazione di tutti, come di istituzioni e società, un futuro migliore e più prospero. Uno Stato che non progredisce né va da nessuna parte e, al contrario, continua ad avvitarsi su se stesso, crollando fra le proprie macerie e le miserie morali che spesso sono ben peggio di quelle economiche e strutturali. Giunti a questo punto viene da pensare che questo meccanismo venga ben oliato e alimentato proprio per rendere le persone più mansuete e arrabbiate, ma arrabbiate solo fra loro, scaricandosi addosso le piccole frustrazioni di ogni giorno, tra vicini di casa, sulla singola persona che pensa e agisce in maniera differente dalla massa, o chiunque non ci vada a genio. La nostra rabbia non viene mai veicolata nella maniera giusta o sfogata contro il bersaglio più opportuno, ma sempre e solo contro chi ha situazioni simili o peggiori. Come asserivo prima si tratta di una guerra tra poveri che conviene a chi governa. Strumenti di questo tipo sono molto efficaci per mantenere il controllo, non c’è demagogia o complottismo che tengano. Un altro strumento molto efficace è senza dubbio la paura e la paura oggi viaggia come un treno impazzito e senza più controllo. Fila veloce attraverso i mass media e quello che la narrazione vuole imporci.

Chi controlla la narrazione ha in mano il potere e da questo discorso non si scappa. Stiamo ancora vedendo gli strascichi tossici del dell’effetto Covid come anche dell’effetto guerra da cui non siamo del tutto salvi, ma per non far abbassare troppo l’attenzione, negli ultimi tempi è entrata in ballo una nuova crisi: quella climatica.

Questione Climatica

Qualche giorno fa sentivo parlare una ragazza appartenente al movimento Ultima generazione: un gruppo costituito principalmente da giovani che, con delle proteste alquanto discutibili, provano a puntare i riflettori sui problemi legati al surriscaldamento del pianeta, all’inquinamento e a tutte le problematiche da essi scaturiti. La ragazza sosteneva che le loro proteste e i loro atti dimostrativi, non condivisi dalla maggior parte delle persone, servono per far parlare di determinati argomenti, di rendere virali i loro appelli e le loro denunce. Quello che però la ragazza dimentica è che nell’ultimo periodo non ci sarebbe così tanto bisogno di puntare dei riflettori, dacché nei salotti buoni della televisione, sui social e sui giornali, si parla di questi argomenti in maniera incessante e continuativa. Un bombardamento mediatico in piena regola dai toni fortemente allarmistici. Facciamo un piccolo passo indietro; sono almeno cinque anni, da quando sulle scene mondiali è apparsa l’attivista Greta Thunberg, che si è iniziato a parlare in maniera approfondita di clima e dei suoi catastrofici effetti. Prima di allora prestavamo ascolto a fatica ai vari esperti del settore e non ci si poneva alcun problema in merito. Ma da quando Greta ha avuto libera parola davanti a un obiettivo, all’improvviso ci siamo scoperti tutti sensibili al tema e alle contromisure eco friendly. In un’epoca in cui è richiesto il pezzo di carta e la qualifica accademica anche per esprimere una semplice opinione personale, ci siamo ritrovati a pendere dalle labbra di una ragazzina sbucata dal nulla, senza chiederle alcun curriculum, le conoscenze in merito e i suoi percorsi scolastici che per un mero discorso anagrafico non hanno modo di esistere.

La mia è una considerazione personale ma nessuno mi toglie dalla testa che se al posto di Greta ci fosse stato un adulto qualsiasi, avremmo preso sotto gamba tutta l’intera questione. Avere invece come portavoce delle lotte ambientaliste una giovanissima ragazza molto carina, molto biondina e che addirittura dice di dover sacrificare la sua carriera scolastica per impegnarsi nell’attivismo, ha smosso i sentimenti della popolazione mondiale, andando a toccare, per non dire trafiggere, la fibra più sensibile e meno assennata dello spettatore tipo. Una ragazzina che però non rimane ai margini della protesta; la sua lotta è entrata addirittura nelle stanze del potere dove viene invitata a parlare e a colpevolizzare, così come davanti ai microfoni più importanti, non della Svezia ma del mondo politico e finanziario intero. Già questo dovrebbe costituire un primo campanello d’allarme, innescando in noi un piccolo grande dubbio. Da che mondo e mondo chi reca fastidio al sistema viene silenziato ed eliminato senza troppe cerimonie, quando invece sei su tutti i rotocalchi, in tv insieme ai potenti, diventi virale sulle piattaforme social e vengono sponsorizzati i tuoi libri e i tuoi interventi, vuol dire che fai parte di quello stesso sistema per cui sei funzionale. Esattamente come gli stessi ragazzi di Ultima generazione che dicono di non scendere a compromessi col sistema. Spero per loro che non sappiano di essere parte di quel sistema che dicono di voler abbattere, incoscienti di star ingrassando la macchina capitalista che intendono vincere. Le loro proteste e i loro atti, inutili e difficilmente apprezzabili, sono sempre a favore di telecamera, sempre immortalati e resi virali in meno di un amen e questo può voler dire solo una cosa e cioè che qualcuno ha bisogno di questi ragazzi e di ciò che fanno, così come si ha bisogno di veicolare determinati concetti.

La nuova politica Green alla luce dei fatti attuali è Green solo di facciata. Non vengono mai proposte seriamente delle alternative o contromisure drastiche che pestino i piedi alle super potenze mondiali. Tutto quello che ci viene ripetuto è la necessità urgente di riconvertire le nostre case entro il 2050 per renderle a impatto zero; che dobbiamo cambiare le nostre auto, ovviamente a nostre spese, così come il nostro stile di vita. Richieste di cambiamento totale che vengono imposte sempre al cittadino comune, colpevole di aver inquinato troppo, di utilizzare troppo le auto, di mangiare troppa carne e di violare ogni centimetro quadrato di questo pianeta con la sua sola presenza. In pratica un parassita da estirpare.   Proclami scaturiti da politici e gente che pontifica ogni santo giorno su questi argomenti ma che non ha la minima intenzione di cambiare i propri stili di vita e le proprie mire imperialiste.

Da poco si è concluso il G7 di Hiroshima e per giungere fin lì sono stati utilizzati aerei e jet privati, stessa cosa dicasi per il consesso segretissimo del Bilderberg.  Un incontro a porte blindate in cui un manipolo di persone decide le sorti del pianeta, parlando dei problemi più urgenti e della società. Non ci è mai dato sapere di cosa discutono e quali decisioni prendano, nonostante si tratti della nostra stessa vita e del futuro dell’esistenza umana. Pochi individui che determinano l’avvenire di miliardi di singoli. Non si presta mai la giusta attenzione a tutto ciò e invece sono cose di una gravità sconcertante. Uno sparuto gruppo di persone che detiene il potere mondiale, ricchezze e ogni tipo di monopolio e che per spostarsi utilizza mezzi privati di ogni genere, che siede a banchetti esclusivi durante i quali certamente non vengono serviti piatti di locuste e cavallette e tanto meno hamburger vegani o carne fatta in 3D in Israele. Avete letto giusto.  Oggi la carne può essere sintetica e realizzata in maniera tridimensionale con una stampante appropriata; una moda che non tarderà a sbarcare nel nostro paese come ovunque.

Secondo voi i potenti della terra mangiano queste cose? Ma assolutamente no. Non ho mai partecipato alle loro cene e non posso affermarlo con certezza ma tutto mi porta a pensare che i grilli non facciano parte delle pietanze servite a tavola. Così come sono certa che non rinunceranno volentieri alle loro industrie inquinanti e non rinunceranno volentieri a sovvenzionare multinazionali che deforestano, inquinano, usano pesticidi e sfruttano bambini per le estrazioni del litio utilizzato nelle batterie delle macchine elettriche come a scacciare intere popolazioni africane per sfruttare il sottosuolo ricco di cobalto e altri materiali e minerali utili e preziosi. Volendo continuare, non si parla mai dei pannelli solari che vengono realizzati in Cina e altri remoti paesi del sud est asiatico, in comparti industriali che inquinano a più non posso.

La stessa Cina sta colonizzando interi territori africani e schiavizzando i suoi abitanti senza che nessuno sollevi mai la questione, senza che questo possa costituire un rimorso di coscienza in chi getta la salsa di pomodoro addosso ai dipinti, urlando ai quattro venti che i pannelli solari cinesi sono una soluzione, che se non li installiamo sul tetto siamo dei criminali che intendono distruggere il pianeta. Nessuno va a fare la morale all’India, nessuno va nei paesi che inquinano certamente più di noi e che distruggono interi ecosistemi, nessuno intende mettersi contro le multinazionali perché sono pienamente coscienti di rischiare grosso, anche con la vita. Meglio colpevolizzare a vita il singolo cittadino che non compra la borraccia di metallo, meglio riempire le fontane di vernice e sostanze chimiche coloranti, per ribadire che se l’Emilia Romagna è alluvionata è colpa della nostra inciviltà e del nostro menefreghismo, che se i fianchi delle colline crollano inghiottendo case e paesi è sempre per colpa nostra e di chi nega il cambiamento climatico. Sono cresciuta in Abruzzo con mio padre che mi ha ripetuto fino allo sfinimento che il problema dei danni a livello territoriale per colpa degli agenti atmosferici, risiede anche nel fatto della scomparsa dei cantonieri che pulivano le strade e gli argini dei fiumi, così come la scomparsa dei canali di scolo a bordo strada. Facciamoci caso, oggigiorno non si vedono davvero più i canali di scolo e laddove persistono sono sommersi da erbe infestanti, detriti e altre cose che non dovrebbero trovarsi lì, impedendo all’acqua piovana di defluire regolarmente. Una visione un po’ romantica e demodé delle cose, ma io tendo a fidarmi dell’antica saggezza popolare, di quei piccoli accorgimenti che costavano poco ma risultavano essere davvero efficaci.

I fenomeni atmosferici violenti ci sono sempre stati, così come le alluvioni; a scuola mi hanno insegnato che la Pianura Padana è un territorio alluvionale, soggetto ad allagamenti e sempre sui banchi di scuola ho studiato che l’Abruzzo e molte altre regioni d’Italia sono ad alto rischio sismico. Il terremoto è un fenomeno che affligge anche un paese come il Giappone, e qui la sua portata sarebbe potenzialmente distruttiva.  Le case dei giapponesi però non crollano a differenza delle nostre, come mai? Forse perché sono fatte a norma e costruite secondo determinati criteri? Perché sanno bene che il loro è un territorio soggetto a questi fenomeni violenti e allora agiscono di conseguenza. Ma in Italia no, tutto questo sembra addirittura fantascienza. In Italia puoi costruire le case con il cemento impastato con la sabbia, di quelle che vengono giù come cartapesta alla prima scossa seria. In Italia puoi costruire un albergo extra lusso ai piedi di un crinale di montagna, di un corridoio naturale che servirebbe a far scorrere e sfogare l’onda impazzita di una possibile slavina. In fondo che importa? I rischi si conoscono ma vengono bellamente ignorati, sacrificabili sull’altare del profitto a ogni costo.

Addirittura, veniamo a sapere che l’amministratore delegato di Edizione, cassaforte della famiglia Benetton, Gianni Mion, era a conoscenza dei reali rischi circa il crollo del ponte Morandi a Genova ma di non aver detto nulla per salvaguardare il posto di lavoro. Capite? Il posto di lavoro a discapito del rischio concreto di una strage poi tristemente avvenuta, e non per fatalità ma per negligenza, menefreghismo, arrivismo e tutte le ciniche e criminali corporazioni di potere coinvolte. Chiamiamo le cose col nome giusto. Forse non ci rendiamo davvero conto della gravità della cosa: un individuo può permettersi il lusso di confessare davanti alle telecamere di aver deciso deliberatamente di tacere informazioni di tale portata, condannando de facto a morte gente innocente e che avrebbe meritato di essere tutelata, loro come tutti gli automobilisti che ignari hanno percorso, a loro rischio e pericolo, il ponte Morandi prima del suo rovinoso crollo, e la notizia, l’atto in sé, passa totalmente inosservato. Come avesse parlato di inezie qualsiasi. Nessuna indignazione di massa, nessuna barricata mediatica, nessuna protesta veemente, nessuna richiesta di giustizia e nessuna iniziativa giudiziaria nei confronti di Mion. Viviamo in un Paese in cui vengono fatte le pulci a qualsiasi puttanata detta da un Salvini o da una Giorgia Meloni, chiedendo interrogazioni parlamentari, dimissioni, cadute del governo e cataclismi vari ma si tace e si fa finta di nulla di fronte a certe notizie. È malafede o completo distacco dalla realtà?

Cosa stiamo diventando? In cosa ci stanno trasformando?

 Siamo dei robot pilotati per protestare a comando, per sposare le cause patinate che vengono scaricate a pioggia dall’alto. Il nemico è costruito a tavolino, le barricate, come giustamente sancito da Battiato, si fanno per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso, ci si accontenta delle briciole e del contentino politico mentre intanto devastano l’intera società e torturano il nostro futuro, annientandolo.

Sembra proprio che piaccia farsi suggerire cosa dire, cosa pensare, chi odiare e chi lodare, e in tutto questo ci si dichiara pure liberi, anticonformisti, ribelli, rivoluzionari. In realtà si è solo fedeli soldati del sistema. Per quanto mi riguarda credo di non aver bisogno di un politico che mi dica come vivere, se posso usare o meno la macchina, se posso mangiare la carne, se devo ristrutturare la casa con le severe norme Green. E non perché sia una persona menefreghista o indifferente al bene del pianeta, semplicemente credo di avere una coscienza, un cervello ben funzionante e una giusta dose di buonsenso che mi permettono di agire in maniera corretta e rispettosa. Vengo dalla campagna, sono nata e cresciuta in mezzo agli animali, guardando mio padre fare l’orto, mettere su coltivazioni di ortaggi e alberi da frutto e gli ho visto allevare animali da cortile e so come si rispetta la natura e come si convive con essa.  Faccio la raccolta differenziata, ho venduto la macchina anni fa e mi sposto a piedi o con i mezzi, che andrebbero potenziati e ripensati in modo da renderli meno impattanti. Non mi sono mai azzardata a buttare una carta a terra, ancor prima che iniziassero a minacciarci dalla tv, non prendo aerei ogni due giorni, non mangio carne allo sfinimento e soprattutto so benissimo che sostituire la carne, magari locale e della piccola bottega, con chilogrammi di avocado non è assolutamente una scelta più etica e meno inquinante.

I ragazzi di Ultima generazione, con le loro lotte mediatiche e le loro proteste completamente fuori focus, non mi faranno mai sentire in colpa, non mi costringeranno all’autoflagellazione. Farebbero meglio invece a ripensare al loro modo di fare attivismo che somiglia più a un giardinaggio snob, come asseriva Chico Mendes, sindacalista brasiliano ucciso nel 1988 per le sue battaglie in favore degli indios, giusto per tenere a mente che chi ha fatto davvero le lotte ambientaliste, chi ha dato davvero fastidio ai potenti e al loro sistema imperialista è finito impallinato e sotto terra. Mendes non può più permettersi di andare al museo e imbrattare quadri davanti alle telecamere con il plauso della stampa e di certa opinione pubblica o dei potenti della terra, che ci fanno la morale ma intanto continuano a fare soldi sul sangue dei civili inermi.

Quand’è che abbiamo iniziato a provare questo sadico gusto per la presa in giro o per l’autofustigazione? Non facciamo altro che lanciarci colpe addosso e a ripetere meccanicamente gli slogan della politica.

Veniteci ancora a dire che è solo maltempo, ripetono.

Veniteci ancora a dire che non ci stanno prendendo per il culo, bisognerebbe rispondere.

E non può essere altrimenti quando vieni a scoprire che di tutte le contromisure che si potrebbero prendere per arginare i fenomeni atmosferici o di tutti i soldi che si potrebbero investire, nessuno muove un dito o si mandano indietro i fondi perché non si è in grado di utilizzarli nella giusta maniera. Dobbiamo pensare sul serio all’incompetenza generalizzata della politica o ad un inspiegabile menefreghismo dell’amministrazione pubblica? O forse è lecito anche meditare su altro, a mosse pensate e attuate per poter portare avanti la narrazione più conveniente?

Creare il problema per vendere facili soluzioni.

Se non ti faccio vedere le devastazioni in prima serata come uno spettacolo a teatro, se non incuto terrore con notizie apocalittiche sullo scioglimento dei ghiacciai, le devastazioni tropicali, la desertificazione, le isole di plastica e tutto il corollario, come posso convincere il cittadino ad adottare comportamenti drastici, a indurlo a mettere mano al portafogli per cambiare la macchina e riconvertire la propria casa e trasformarla in una trappola per topi a impatto zero? A ogni azione corrisponde una reazione e abbiamo imparato a cosa può portare una campagna mediatica incentrata sulla paura e sullo stato di crisi e insicurezza perenne instillato nella mente delle persone. E pazienza se le auto elettriche, con le loro batterie al litio da smaltire chissà come chissà dove, le case con i pannelli solari e ogni accorgimento Green, secondo molti esperti non andranno a migliorare significativamente la situazione, ci sarà sempre qualcuno a trarre la cosa a proprio vantaggio e sapete di chi si tratta? Sempre di lui, del capitalismo. Denaro sonante che andrà a rimpinguare le casse del sistema. In tutto questo bailamme ci sono anche voci contrastanti che però vengono messe a tacere senza troppi complimenti. Fatti passare per incompetenti e ignoranti. Una storia già sentita no? Ci si guarda bene dal dire che il cambiamento climatico non per forza è dato dall’attività umana, quanto invece da un fisiologico e ciclico ritmo universale, influenzato da quella che è la nostra stella più grande, il sole.

“Al momento nessuno può valutare l’incidenza dell’elemento antropico nel cambiamento del clima e pertanto nessuno può controllarla. Di certo però il riscaldamento del Pianeta non dipende al 98% da noi, come invece in tanti sostengono. Questa è una fesseria, talmente diffusa però da diventare inarrestabile. Tra cinquant’anni di studi saremo forse in grado di stimare l’incidenza dell’uomo sul clima, che per inteso nessuno nega, tantomeno io”.

Queste sono le parole del Professore Franco Prodi, ordinario di Fisica dell’Atmosfera all’Università di Ferrara ed ex direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima ( ISAC ) e del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Però secondo i più, le parole di un Fisico non sarebbero da prendere per buone, a differenza di quelle pronunciate dai ragazzi di Ultima generazione, ragazzi di cui nessuno conosce studi, carriera e competenze. Molti diffidano delle parole di uno studioso come Prodi perché sostengano che queste siano politicizzate, a favore di quelle ideologie che vogliono negare per chissà quali motivi il cambiamento climatico. Strano, quando si parla di teorie opposte alla narrazione vigente le si bolla sempre come politicizzate, in caso contrario però l’ortodossia di Stato è totalmente e sicuramente, al 100%, distaccata e indipendente da qualsiasi influenza politica o sistemica.

Ammiro sempre molto questa indefessa sicurezza circa tutto quello che ci viene detto e raccontato dalla tv e dalla stampa, quest’inesistente voglia di farsi venire un dubbio, anche uno ogni tanto, di provare a sentire campane differenti, di cercare altrove fonti alternative, corredate da studi, dati e ricerche ovviamente. E se il Professore Franco Prodi proprio non ci piace possiamo portare l’esempio del Fisico e divulgatore Antonino Zichichi, non proprio il primo che passa per strada.

Secondo Zichichi “L’inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l’operato dell’uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è senza alcun fondamento. Il nostro pianeta è un sistema dinamico in continua evoluzione e i cambiamenti ci sono sempre stati nella storia dell’Uomo.”

Aggiungendo anche che “La scienza sembra avviata a risolvere i problemi che minacciano l’uomo da quando è apparso sulla terra. Mai come oggi sia gli esseri umani sia il nostro pianeta sono esposti a gravissimi pericoli per cause naturali e incontrollabili o per un uso distorto della scienza stessa.”

Il professore non si discosta dunque dal problema e non lo nega ma non sposa totalmente la teoria per cui la colpa sia solo ed esclusivamente dell’uomo, facendo capire che non saranno i nostri comportamenti a poter invertire sul serio la rotta e soprattutto lascia intendere che l’uso dogmatico che si fa oggi della scienza è pericolosa e fuorviante.

Se questo non portasse a dilungarsi troppo oltre, potremmo anche parlare del controllo dei fenomeni atmosferici per mano umana. Qualcosa che farebbe inalberare subito coloro che amano urlare contro i “complottisti” ma è bene ricordare che l’usanza di inseminare le nuvole, letteralmente, esiste e viene attuata da decenni. Geoingegneria atmosferica, né più né meno e per capire di cosa si tratti basta fare una semplice ricerca sul web. L’informazione oggi è alla portata di tutti ma c’è troppa pigrizia per servirsene a dovere. In parole povere si utilizzano dei droni per bombardare le nuvole di ioduro d’argento con lo scopo di provocare piogge e in tali casi anche ghiaccio e neve. Una pratica diffusa in Cina, negli Stati Uniti e in Australia ma anche in Europa e nello stesso nostro paese. E come si possono provocare le piogge allo stesso modo si possono eliminare le nuvole e interrompere l’attività pluviale, soprattutto quando questa può trasformarsi in grandine deleteria per i raccolti.

Ora, capiamo bene che mezzi del genere usati in modo improprio, possono scatenare effetti disastrosi e per nulla etici e io vorrei poter vivere in un mondo che non mi fa dubitare, che non mi faccia temere di essere manipolata anche attraverso il controllo artificiale degli agenti atmosferici e che questi soprattutto non siano mezzo di propaganda per avanzare teorie, disastri e contromisure ad hoc volte non al benessere delle popolazioni mondiali ma solo alle mire imperialiste dei soliti pochi noti. Come posso fidarmi di organi e individui che hanno a disposizioni mezzi così sofisticati, che detengono il controllo degli organi di comunicazione e che decidono le sorti politiche di pressoché ogni nazione al mondo? Dovrei davvero farmi dire da costoro quale vita vivere, cosa mangiare, cosa comprare, cosa pensare, quanto e come devo lavorare, quanto devo e posso guadagnare? Schiavo a vita delle trame di palazzo più oscure meschine e criminali? Non credo di potermi permettere una scelta simile come nessuno dovrebbe poterselo permettere. Non dovremmo fidarci di gente che dice di preoccuparsi della salute collettiva, ad esempio, e lo fa smantellando la sanità pubblica, privatizzandola senza però decidere sul serio di privatizzarla, il che sarebbe una scelta sicuramente impopolare.

 Il cambiamento, in questo senso, è facile e “indolore”. Si depotenzia e indebolisce il settore pubblico con chiusure e tagli economici sempre più ingenti, si tolgono posti letto a favore delle strutture private, si chiudono ospedali e cliniche nelle città più piccole, si allungano le liste di attesa per le visite di routine ed ecco che magicamente sarà il cittadino stesso, stufo dei disservizi e della mancanza di strutture pubbliche adeguate ed efficienti nel territorio, a rivolgersi al privato. Un trend sempre più diffuso e che favorisce solo chi può permettersi di sostenere le esose spese richieste dalle cure del settore privato. Col passare degli anni dunque, assisteremo a qualcosa di molto simile a quello che succede già negli Stati Uniti: curarsi vorrà dire essere in grado di sostenere tutte le spese necessarie e il sistema sanitario che andrà per la maggiore sarà quello privato. E non potremo nemmeno lamentarci perché ci verrebbe risposto che siamo stati noi a scegliere il privato. Il tutto continuando a inquinare a più non posso perché a nessuno verrà mai in mente di cessare le attività delle grandi industrie e delle multinazionali più potenti al mondo o di marchi a cui non vanno messi i bastoni fra le ruote.

Se ci rimanesse un briciolo di dignità non dovremmo svenderlo a favore di potenti senza scrupoli ed è chiaro e logico che qui non esistono destra, sinistra, fascismo o comunismo; qui esiste solo il potere che non ha colore né ideologia. Come succedeva un po’ di tempo fa, anche oggi credo ci sia una contromisura a tutto questo, o almeno una difesa contro il terrorismo mediatico: spegnere la tv.

Nel momento stesso in cui facciamo tacere quella scatola distruttiva che tutti abbiamo in casa, invadente quanto gli schermi di Fahrenheit 451, e torniamo a guardarci attorno, fidandoci dei nostri sensi e dell’istinto, ci si rende conto che il grande dramma che ci viene raccontato può essere arginato o prevenuto da chi dovrebbe occuparsene con perizia e serietà e che invece ha tutti gli interessi per non farlo e costruirsi un alibi perfetto. Un casus belli perfetto per agire secondo i propri sporchi interessi e pur di portare avanti la narrazione dominante sono disposti a servirsi di volta in volta di saltimbanco, influencers, giornalisti prezzolati e marionette della politica.

Infine, ci siamo noi, vuoti contenitori da riempire, asservire e indirizzare, con gli occhi accecati dal fumo delle finte verità.