Il “Pueblo” di Ascanio Celestini vive la nostra medesima condizione umana
Il “Pueblo” di Ascanio Celestini vive la nostra medesima condizione umana

Il “Pueblo” di Ascanio Celestini vive la nostra medesima condizione umana

Al teatro Torti di Bevagna è andata in scena la seconda parte della trilogia dell’autore iniziata con Laika

Ascanio Celestini non perde l’occasione di mostrare la sua grande capacità di guitto, di difensore delle masse deboli e reiette, ai margini di una società spietata e diretta ineluttabilmente verso un baratro privo di qualsiasi valore umano.

Al centro di questo suo racconto vi sono Violetta, una cassiera di un grande supermercato, e Domenica, un barbona innamorata di un facchino di un grande magazzino di nome Said costretto a rimpatriare nel suo paese di origine dopo aver perso il lavoro.

Nell’intreccio delle trame di queste due storie principali si intersecano i racconti sull’infanzia delle due donne, sui loro genitori, sulle miserie vissute per riuscire a raggiungere una posizione umile ma al contempo dignitosa, sulla lotta per la sopravvivenza di Said contro il gioco d’azzardo e le ricchezze illusorie, sull’assurda educazione punitiva impartita dalle suore a Domenica dopo aver perso i genitori.

E l’autore-attore, durante l’intero monologo di quasi due ore (accompagnato dalle musiche di Gianluca Casadei), non smette mai di incuriosire lo spettatore, al quale rimane impossibile non immedesimarsi nei personaggi tanto miseri e inermi difronte alla fatalità del proprio destino. Lo stesso Celestini ammette:

[…] Questo spero di provocare: che lo spettatore professionista borghese, il giovane laureato o lo studente che ancora vive con i genitori si identifichi in un barbone o in una prostituta rumena, non perché vive la stessa condizione sociale, ma la stessa condizione umana.

Ma se da una parte il pathos abbonda dall’altra poco spazio viene riservato al logos (i greci opponevano al pathos, la parte emozionale e irrazionale dell’animo umano, il logos, la forza razionale dell’anima che identifica la ragione).

Così gli spettatori che s’imbattono nelle storie dei personaggi dell’intera opera si commuovono e s’immedesimano persino in loro; magari, mossi da uno spirito civile, sono anche pronti a scendere in piazza per difendere i diritti dei più deboli, delle masse emarginate.

Ma contro chi? “Il padrone”, ci viene suggerito. Ma questa categoria è oggi un simulacro che male riesce a decifrare la realtà. Forse sarebbe giusto scendere in piazza contro i legislatori, che permettono un tale abominio sociale? Forse in lotta contro i promotori del neocolonialismo, che destabilizzano i paesi mettendo in fuga intere popolazioni? Oppure contro le mafie, che sfruttano indiscriminatamente coloro che non cercano altro che sopravvivere? Oppure contro chi incentiva tutto ciò e non permette di legiferare per migliorare un sistema tanto infame?

Questo non ci è dato sapere ma restiamo fiduciosi: la speranza sta nel fatto che nei futuri appuntamenti Ascanio Celestini possa mostrarci le giuste chiavi di lettura per interpretare ragionevolmente non solo le sue opere, ma anche le cause del marcio di questo mondo, di cui egli si prende magnificamente gioco con stile beffardo ed irriverente.