Strange fruit & Billie Holiday
Strange fruit & Billie Holiday

Strange fruit & Billie Holiday

Di Ilira Radhima

È primavera da poco tempo e siamo in Italia, esattamente nel centro d’Italia in una piccola città di provincia, Spoleto. E’ primavera e il termometro segna pochi gradi sopra lo zero, ma in un locale del centro ci sono cuori caldi che cantano, riflettono e si scaldano collegando tempi e musiche lontane con riflessioni ed esempi sempre più vicini.  Questo locale è la libreria Aurora un luogo dove il jazz emergente umbro sta trovando la sua casa naturale, ma cosa si è cantato all’Aurora?

Si è cantato e parlato di un argomento purtroppo attuale e molto delicato: quello del razzismo, della persecuzione e linciaggio nei confronti dei neri negli USA. E lo si è fatto mettendosi nei panni di Billie Holiday, perché in questa piccola libreria il concerto non è solo musica e il dibattito non è solo parole: si sta trovando una sintesi e la sintesi è un percorso che entra dentro la storia, riscoprendo cosa significa creare.

Ma chi era Billie Holiday?
Eleonora Fagan, meglio nota come Billie Holiday o Lady Day, nacque a Philadelphia nell’aprile del 1915 ed è stata tra le cantanti jazz più grandi di tutti i tempi. La sua vita travagliata fin dalla nascita le costò parecchio. Ella nacque da una coppia di adolescenti, la madre Sadie Fagan aveva solo 13 anni al tempo infatti. Il padre, Clarence Holiday invece 16. Egli era un suonatore di Banjo e non accompagnò mai la figlia poiché impegnato a seguire le varie orchestre in cui suonava. Billie Holiday fu condannata ad essere una donna ai margini: infelice, povera e sola fu violentata a soli 10 anni; era solita vedere, ancor giovane, i corpi neri penzolare dagli alberi; più volte, soprattutto negli Stati del Sud, le era stata proibito l’uso dei bagni dei locali in cui si esibiva, per questo finì per abbandonare molte orchestre importanti. Come dicevamo, la sua infanzia è stata sregolata e in solitudine, vissuta in uno dei quartieri più bassi, dove purtroppo conobbe prestissimo la squallida realtà della società.
Iniziò infatti molto giovane a lavorare per guadagnare qualche soldo, facendo piccole commissioni e lucidando le entrate delle case dei ricchi.
Come dicevamo a soli dieci anni fu violentata da un inquilino della madre e giudicata corrotta fu rinchiusa in un riformatorio. Uscita dal riformatorio Billie Holiday iniziò a prostituirsi, chiedendo in cambio di ascoltare della musica. Quando il bordello dove lavorava venne scoperto, fu condannata a sei mesi di carcere. Dopo tali eventi cercò di guadagnare senza finire nel giro della prostituzione, e decise quindi di presentarsi come ballerina nei locali notturni di Harlem. Billie Holiday non sapeva ballare, ma quando la sentirono cantare la presero subito e iniziò il suo giro nei locali della zona. Qui venne scoperta da John Hammond, produttore e manager, il quale la consegnò alla fama più grande, grazie alle collaborazioni con Count Basie e Lester Young (quest’ultimo divenne poi suo grandissimo amico).
Il suo stile aggressivo e risentito provenivano dall’ininterrotta serie di umiliazioni e violenze che fu costretta a subire.
A complicare la sua esistenza giunse anche l’eroina. Questa per la Holiday divenne una nuova schiavitù; parlando di questa sua dipendenza Billie scrisse: “non tardai molto a diventare una schiava tra le meglio pagate. Prendevo mille dollari alla settimana, ma quanto a libertà non ne avevo più di quanto ne potesse avere il più pidocchioso bracciante della Virginia, cento anni fa”. La Holiday non venne vista più come un tempo e cercarono persino di incriminarla per spaccio di droga. La polizia non la lasciò in pace nemmeno negli ultimi momenti di vita: quando la trovarono agonizzante nella sua casa la accusarono di detenzione di sostanze oppiacee, donatele incautamente da un amico.
E così nessuno rimase sorpreso quando morì al Metropolitan Hospital di New York, il 17 luglio 1959.
La sua storia, la sua costante infelicità, il suo desiderio d’amore la portano ad avere un’interpretazione struggente di qualsiasi brano le venisse proposto, da Lover Man a Yesterdays.
La sua voce si modoficò progressivamente: all’inizio, infatti, era metallica, fredda, pungente, mentre più tardi divenne acre, urtante, a volte miagolante.
Strange Fruit è sicuramente il suo capolavoro.  Nel 1971 Meeropol, nel corso di un intervista, disse: “ho scritto Strange Fruit perché odio il linciaggio e odio l’ingiustizia e odio le persone che la
perpetuano”. Le prime volte Billie la cantò per istinto ma con il tempo ne comprese il significato poetico, e non riusciva più cantarla senza acoppiare in lacrime.
I versi di Meeropol e la voce di Billie immortalarono il capolavoro del secolo.

Non è facile dirlo, ma gli strani frutti di cui canta Billie Holiday e di cui scrive Meerpol sono i neri uccisi e linciati nel sud degli Stati Uniti, sono i corpi senza vita e torturati dei neri impiccati agli alberi.

STRANGE FRUIT
Southern trees bear strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swinging in the southern breeze
Strange fruit hanging from the poplar trees
Pastoral scene of the gallant south
The bulging eyes and the twisted mouth
Scent of magnolias, sweet and fresh
Then the sudden smell of burning flesh
Here is fruit for the crows to pluck
For the rain to gather, for the wind to suck
For the sun to rot, for the trees to drop
Here is a strange and bitter crop

LO STRANO FRUTTO
Gli alberi del sud hanno uno strano frutto,
Sulle foglie sangue e sangue alle radici,
Corpi neri oscillano nella brezza del sud,
Uno strano frutto appeso dagli alberi di pioppo.
Scena pastorale del prode sud,
Gli occhi sporgenti e le bocche contorte,
Profumo di magnolia, dolce e fresco,
Nell’improvviso odore di carne che brucia.
Ecco il frutto che i corvi beccano,
Che la pioggia coglie, che il vento succhia,
Che il sole fa marcire, che gli alberi fanno cadere,
Ecco un raccolto strano e amaro.

Strange Fruit inizialmente fu un testo per “bianchi radicali”. Abel Meeropol, l’autore, membro del partito comunista americano, fu costretto a scriverla sotto falso nome, con lo pseudonimo di Lewis Allan e pubblicarla come poema sul New York Teacher e sul giornale filo-marxista New Masses. Meerpol era un insegnante ebreo. Scrisse Strange Fruit dopo aver visto una fotografia del linciaggio di Thomas Shipp ed Abraham Smith, due neri delle piantagioni del Sud. Quella visione lo scosse a lungo.
Strange Fruit oltre che una poesia era un modo per sbattere in faccia ai bianchi ciò che stavano facendo. Charles Mingus, grande stimatore di Billie Holiday – a cui poi dedicò il brano Eclipse successivamente, sperando in una collaborazione con la cantante americana ma che a causa del fato non fu possibile – disse in un’intervista: “Strange Fruit cambiò la mia idea su come una canzone possa raccontare una storia. Quella canzone è lì per dire ai bianchi cosa fanno di sbagliato riguardo la razza”. Ma purtroppo la denuncia razziale era ancora un tabù per l’epoca. Nei decenni la canzone, che il grande critico Leonard Feather aveva definito “la prima significativa protesta in parole e musica, il primo lamento non tacito contro il razzismo”, era scivolata nel limbo, ricordata solo dagli appassionati di jazz, dai fans della cantante e dai veterani dei diritti civili. Strange Fruit invece è stato un momento importante, se non fondamentale, perché aveva inserito l’idea della  protesta e della resistenza al centro della cultura musicale dei neri, avviando un processo di riappropriazione delle origini africane e del culto della diaspora, reso manifesto anni dopo dal be bop e soprattutto negli anni ’60 dal free jazz.
Nel locale di Sheridan Square, la Holiday incontra per la prima volta Abel Meeropol, poeta, scrittore, compositore e fervido attivista politico-marxista.
Su un tavolo del Cafè Society, Meeropol, sotto lo pseudonimo di Lewis Allen, e la Holiday scrissero i versi di Strange Fruit.
Nel 1939 Billie Holiday si esibì al Cafè Society di New York, uno dei pochi locali che permetteva anche alla gente di colore di entrare. Un posto molto speciale dove si incontrano intellettuali e musicisti.
Strange Fruit è una canzone durissima, le tragedie del razzismo e del Ku Klux Klan, naturalmente, allora non erano i migliori temi da mettere in musica. Un brano di denuncia sociale quando le battaglie per i diritti civili non erano neanche all’orizzonte. Nessuna casa discografica, infatti, all’inizio accettò di pubblicare il brano. La cantante, però, credendo molto nel brano, continuò a cantarlo. Lentamente il brano sconfisse censure e paure. Billie Holiday era la voce perfetta per poter interpretare un brano così forte. Tecnicamente si ispira allo stile sassofono di Lester Young, anticipa le battute, avvolge la melodia  di base con tante piccole note, sospiri o pause.