L’Aurora intervista l’artista Ob Queberry
L’Aurora intervista l’artista Ob Queberry

L’Aurora intervista l’artista Ob Queberry

Praticamente terminato l’intervento di street art di Ob Queberry che, nel giro di un paio di settimane e con animali giganti, ha cambiato volto ai giardini di viale Matteotti, dove pesa il degrado dell’ex convitto femminile, suscitando grande entusiasmo e interesse nella città di Spoleto.  Come promotori di una campagna di “anti-degrado” sociale abbiamo pensato di intervistare l’artista cercando di comprendere il suo pensiero e la sua azione, con un ragionamento di ampio respiro.

Buona lettura.

 

A: “L’arte ha un ruolo determinante, l’ha sempre avuto, in quanto fatta da uomini e da
donne che si esprimono e quando sei libero di esprimerti puoi assumere un ruolo
fondamentale nella società. Qualcuno parlava di “dittatura delle immagini”: le
immagini per certi versi hanno una forza maggiore delle parole. Dipingi un episodio,
dipingi una cosa e rimane lì, fissa e visibile a tutti nel tempo. Le parole invece
scorrono, vanno via. In generale, invece possiamo dire che l’artista, qualunque sia il
suo percorso, qualunque sia la sua arte, deve comprendere che egli è come un filtro
che accoglie gli avvenimenti che accadono nel mondo e li “rivomita” secondo la sua
prospettiva. Chi guarda un’opera d’arte viene invaso da questo messaggio e in
questo senso l’artista ha una grande responsabilità. Partendo da questa riflessione
che vorremmo che tu commentassi, volevamo porti delle domande per quanto
riguarda il tuo intervento artistico, non il primo, ma il più grande finora effettuato da
te a Spoleto e grazie ancora per la disponibilità.”

Ob: “Mai come nel nostro presente l’immagine artefatta, se così la si può definire (anche se non
necessariamente concepita “artisticamente”), è dominante e di principale rilevanza. Le immagini,
fisse e in movimento, con la loro sempre maggiore presenza nel quotidiano che sconfina nei media
più disparati stanno radicalmente modificando contenuti e veicoli della comunicazione (video,
immagini scambiate in rete e usate come reali supporti a ciò che si comunica, emoticon che
riportano la scrittura ad una ibridazione “geroglifica”, quindi di immagine che supporta e esprime
concetto con un codifica vasta e complessa, ampliando da un lato la possibilità di espressione ma
forse minando dall’altro i cardini di codici, maniere e regole preesistenti).
Assumendo ciò è pertanto fondamentale porsi questioni in merito al ruolo nella società di chi
queste immagini le produce e le diffonde e inevitabilmente si entra in contatto con il contesto
artistico-culturale che vive, a mio avviso, a fronte di una esposizione e di una popolarità raramente
raggiunta in passato, grandi dubbi e sconvolgimenti e come spesso accade, almeno nella cultura
occidentale, necessita’ fisiologicamente di riflettere su se stessa e di ripensare le funzioni che
esercita.
L’artista, volente o nolente, è figlio della società in cui vive, ed è necessario di certo che assuma in
se la responsabilità della sua comunicazione, tuttavia a mio parere esiste ora il concreto rischio di
perdersi nel flusso (in maniera sia attiva che passiva), che per quanto valido o importante possa
essere il suo messaggio sia semplicemente lasciato scorrere, perdendosi nel mucchio.
Mi viene in mente l’esperienza che si prova nei grandi musei, quelli dove sono conservate opere
assolute, patrimoni di bellezza immensi. Nonostante l’impegno del visitatore a soffermarsi su quanto
più possibile possano abbracciare i suoi occhi, la mole di immagini lo sovrasta e perde di efficacia.
Il sovraccarico di immagini per quanto meravigliose porta a confusione, se non a vero e proprio
disinteresse. Così un quadro che in un contesto diverso sarebbe dichiarato capolavoro, nelle enormi
stanze tappezzate di dipinti rischia di essere addirittura ignorato, non visto.
Questo lungo preambolo vuole puntare l’attenzione sulle difficoltà di ruolo che si attribuisce a chi
produce immagini, che sono molte e disparate tra loro. Il sovraccarico di immagini può portare a
saturazione, a emulazione forse a volte a omologazione e di conseguenza a perdita di contenuto,
questo è un rischio concreto più che mai nel nostro tempo. Spero si conservi ancora il concetto di
messaggio e contenuto (abusato a mio avviso in altri tempi a favore di mera speculazione utilitario-filosofica
supportata da oggetti e artefatti che hanno seriamente messo in crisi valori estetici
culturali e non solo) ma esprimo se non altro qualche dubbio sulla generale genuinità di molti di
questi ultimi in un mondo di copie e di spinta all’omologazione oramai planetaria. L’artista dunque
si sfaccetta sempre più, la sua identità si frammenta e forse lo spirito in alcuni casi si piega alla
necessita’ e alla visibilità.
Si potrebbe trovare dell’ipocrisia nelle mie parole soprattutto perché di fatti vengo accostato e mi
accosto senza dubbio ad una corrente artistica oramai “digerita”, storicizzata e di grande interesse
“main stream” che è quella della street art. Tuttavia molti distinguo possono essere fatti nello
specifico e spero di esplicarne almeno qualcuno rispondendo alle vostre domande.”

A: “Da cosa è nata l’dea di portare avanti un intervento artistico di questo genere
e quali necessità ti hanno spinto a volere incidere attraverso la tua arte
nell’ambiente cittadino in cui vivi che è Spoleto?”

Ob: “L’idea è nata dalla necessita’ pura e semplice. Nel mio modo di approcciarmi al lavoro
artistico la spontaneità e l’azione diretta sono fondamentali. Dipingere è il primo pensiero e
la prima spinta da soddisfare. Farlo in un luogo pubblico è in qualche maniera una sfida, una
messa alla prova e una rivendicazione di indipendenza se vogliamo. Può essere visto anche
come un gesto impositivo in un certo qual modo, da qui la scelta di farlo spesso su ambienti
dismessi o abbandonati, proprio per cercare di ridare senso ( o bellezza perché no?) a luoghi
che lo perdono a causa di incuria o indifferenza. Il mio vuole essere una sorta di omaggio al
luogo in cui vivo, un possibile ripristino della vitalità di un ambiente che conosco e
frequento dall’età di quattro anni, i giardini dove giocavo.”

A: “L’iniziativa è partita dall’idea di un tuo intervento singolo e poi ha coinvolto
molti altri cittadini che ora sostengono il tuo progetto. Credi che anche
sentano il tuo stesso bisogno di rivalutazione dell’ambiente cittadino?”

Ob: “Non avrei mai creduto di poter godere di tanto sostegno da parte di molti cittadini, diversi
per estrazione, eta’, pensiero ecc…. da quello che ho potuto constatare il bisogno è grande e
palpabile. E spero che questo piccolo precedente possa in qualche modo essere d’ispirazione
per iniziative analoghe anche se diverse nella pratica.”

A: “Quali credi che siano le motivazioni per cui interventi di riqualifica culturale
del territorio derivano sempre dall’iniziativa di singoli o piccoli gruppi di
cittadini e non la un ragionamento più complessivo ed esteso portato avanti
dall’intera comunità o dalle istituzioni?”

Ob: “Credo che l’iniziativa del singolo o di un gruppo ristretto possa e debba essere considerata
un valore. Sicuramente coinvolge direttamente e rende partecipi e presenti, e questo è
importante in un contesto urbano dalle dimensioni piuttosto ridotte. Credo possa essere un
metodo per aggregare mondi e pensieri in modo fattivo. Le istituzioni d’altro canto possono
anzi dovrebbero senza dubbio caldeggiare iniziative e supportarle. Ma credo anche che se
fossero le uniche a disporre di mezzi e autorizzazioni (cose che io comunque non avevo nel
portare avanti il mio progetto) si rischierebbe di perdere la varietà e la diversità di idee e
azioni che possono essere portate avanti.”

A: “Che visione hai della cultura e dell’arte? Ritieni che questa debba essere di
proprietà delle persone, pensata e creata e valorizzata per esse da esse e
diffusa tra la gente proprio come la tua arte, che ridona bellezza ad edifici
abbandonati tra le vie cittadine, o hai una visione dell’arte più diretta verso le
persone che realmente la possono comprendere? Ma cerchiamo di
approfondire questo elemento, secondo te l’arte e la cultura è slegata da gli
altri elementi, quali l’economia, la politica ecc pensi che attraverso l’arte sia
possibile veicolare dei messaggi sociali anche di denuncia? Se sì, qual è il
messaggio che tu vuoi far passare attraverso questo progetto e più in
generale attraverso la tua attività artistica?”

Ob: “Non mi arrischio oltre nel cercare di analizzare o trarre conclusioni su cosa sia la cultura e
l’arte. La mia visione è legata alla mia estetica, ai miei valori, ai miei studi e in quanto tale
rappresenta sempre e comunque qualcosa di parziale e incompleto. Capire il perché e il
percome dell’arte a volte credo possa rappresentare addirittura un limite per chi la esercita. O
almeno questo vale per il sottoscritto. Credo nell’arte per le persone, nell’arte pubblica. Ma
credo profondamente che ci sia bisogno di continuo stimolo, per creare dibattito, anche
scontro magari. La tendenza è quella di compiacere, non di stimolare, di decorare non di
comunicare. Essendo un distillato dello spettro dei tempi l’arte di certo viene influenzata da
tutti i fattori attivi della società e si può, anzi deve se necessario, denunciare e puntare il
dito. Personalmente il messaggio che vorrei trasmettere si lega molto, come già scritto, alla
salvaguardia e alla cura del luogo, del patrimonio di bellezza che ci ritroviamo tra le mani e
che molto spesso diamo per scontato. Non c’è in questo caso la volontà di colpire con
l’immagine in sé, i miei animali sono i guardiani di un giardino che DEVE tornare a essere
punto di incontro di gioco di divertimento di relax e quant’altro.”

A: “Un’ultima domanda che non è solo una domanda ma quasi un altro pensiero
da commentare, Spoleto è una piccola città della provincia Italiana e con ciò
ha tutte le contraddizioni di una realtà del genere, però per quanto se ne dica
male, ha dimostrato in anni di appiattimento di aver avuto delle piacevoli
sorprese a livello giovanile di ragazzi e ragazze che con diverse competenze e
attività cercano di migliorare la loro vita e la realtà in cui vivono; ecco secondo
te è possibile trovare una chiave di lettura per unire tante individualità in un
collettivo slegato dalle logiche di profitto e dalle etichette che le mode
impongono e creare quel fermento e quella contaminazione che tanto
valorizza l’uomo e le cose? E’ necessario avviare un processo del genere?”

Ob: “Spoleto in rapporto alle sue dimensioni è una città che sforna molti talenti, la maggior parte
dei quali purtroppo è costretta (come ho fatto anche io in passato) ad allontanarsi per
mancanza di strutture o di confronto. Non so se un collettivo possa essere un buon volano
per lo sviluppo di una cultura locale formata ma decisamente sfaccettata, senza dubbio è
necessaria una comprensione profonda di queste risorse che dovrebbero essere incentivate in
ogni modo possibile. Non è possibile che Spoleto viva solo di arte (parlo del mio campo
specifico ma ovviamente allargo ad ogni altro contesto pertinente) altrui o comunque in un
arco di tempo limitato al periodo estivo. Servono e urgono di certo condizioni per favorire
incontro e, se spontaneo, associazionismo attivo. Altrimenti la città rischia di perdere uno
dei suoi valori capitali.”