G. Mazzini: nazione, populismo, Terza Roma
G. Mazzini: nazione, populismo, Terza Roma

G. Mazzini: nazione, populismo, Terza Roma

Di Alessandro P.

“Le idee governano il mondo e i suoi eventi” (G. M. 7 luglio 1871)

In riferimento al populismo nazionale,  vera e propria base della  politica dei nostri giorni che ha arrestato e invertito il lungo ciclo della Globalizzazione (1945-2016: anno di vittoria del nazionalista populista Trump negli Usa), si può rimandare agli studi di G. Gentile sul rapporto tra il Machiavelli e Mazzini o a quelli di A. Omodeo sul Risorgimento e  sulla cultura della restaurazione in Francia oltre che a taluni studi di T. Eliot e J. Burnham sull’antagonismo tra i Levelers manageriali (Livellatori, elite internazionaliste egualitariste e filosocialiste) e i Populisti piuttosto che alle ipotesi ideologiche neo-globaliste di Sinistra radicale dei vari Scurati, Zanatta, Finchelstein, Cazzullo.

L’idea strategica mazziniana di Terza Roma, la “Roma del popolo”, rappresenta quindi la più radicale opposizione di metodo all’egemonismo della Rivoluzione internazionale o mondiale finalizzata all’estinzione della missione degli spiriti nazionali; a tal punto che un filosofo marxista indiano come Mishra sostiene che Mazzini sia il pensatore più influente della realtà contemporanea. Va del resto considerato che il movimento risorgimentale si spaccò, in modo irrimediabile con conseguenze che ancora viviamo come Italia, proprio di fronte alla Comune di Parigi (1871); se la frazione democratica e socialista italiana vedeva nella Comune un moto di progresso, Mazzini, nei suoi articoli ne “La Roma del Popolo”, indicava nella Comune una manifestazione di forze massimamente oscure, tenebrose e regressive; nelle Sinistre italiane o nelle logge massoniche che la sostenevano individuava autentiche forze politicamente primitivistiche che non avevano mai compreso la “sacra missione di Unità Nazionale e popolare Italiana”; le Rivoluzioni antinazionali non portano, per Mazzini, che a “orgia d’ira, vendetta e di sangue” dato che ogni ideologia materialista e antinazionale non porta che all’istupidimento dell’umano verso la barbarie senza uscita (cfr. Mazzini, “Il Comune di Francia”, 26 aprile 1871; Id.,“Il Comune e l’Assemblea”, 7, 21, 28 giugno 1871).

Il pensiero e l’azione di Mazzini dovevano per forza prendere le mosse dal fallimento di Napoleone Bonaparte nel suo tentativo di creazione demiurgica: Bonaparte, per il Mazzini, negava l’idea spirituale di nazione popolarmente costituita privo come era, il suo credo, del principio di morale di nazionalità (cfr. G. Mazzini, “Nazione e Nazionalità”, 26 ottobre 1871). Riprendeva così corpo la rappresentazione di un divenire storico dominato o dalla Provvidenza superiore o dalla razionalità storicista: viceversa il Mazzini – sulla linea del Machiavelli, almeno secondo l’interpretazione idealista che ne ha dato Giovanni Gentile – tentò con coerenza di portare al centro del campo un idealismo attivo, ma realista, basato sulla missione eterna dello spirito nazionale incarnata da consapevoli avanguardie della patria. Vi era, nel Mazzini, il rifiuto aprioristico della presunta infallibilità del cospirazionismo delle élite internazionaliste egemoni e del determinismo razionalistico geopolitico; vi era la fede sperimentabile e non dogmatica nella Forza misteriosa di una avanguardia politica che sapesse connettersi alla Rivelazione dello spirito nazionale e trasmetterla al Popolo.

In questa temperie di romanticismo politico-religioso, che dominò in vaste zone occidentali fra il 1830 e il 1848, in questa sete di umana civiltà e di patrio amore, maturava il pensiero politico del Mazzini, soprattutto quando, gravemente indiziato di propaganda carbonara, venne nel febbraio 1831 inviato in esilio da Carlo Felice. Il concetto mazziniano, metodo politico e tattico, di sacrificio nazionale non si confondeva con quella martiriopatia soggettivista e apolitica di un Felice Orsini o, in parte, dello stesso Pisacane che sembra oggi riemergere o con i jihadisti medio-orientali o con talune figure nazionaliste grandi-russe come Navalny, Prighozyn, Utkin; si trattava viceversa di una metodica politica di avanguardia, artistica e flessibile, capace di irradiare presso il Popolo e di dare frutto politico concreto al sacrificio dell’onore nazionale. Si apriva, con Mazzini e i suoi discepoli, un orizzonte epocale – come sostiene oggi correttamente il Mishra – che sarebbe andato ben oltre la retorica risorgimentale e le infantili apologie fondate sulla fisima di Cavour grande statista: uno statista in realtà sconfitto dalla storia dato che fino all’ultimo tentò di ostacolare e sabotare quell’Unità Nazionale di cui invece Mazzini, solitario, fu indiscusso profeta.

Il populismo russo, balcanico e quello americano si sarebbero poi abbeverati al pensiero del Mazzini. La concezione mazziniana era antagonista alla dottrina dei diritti rivoluzionari francesi, era in tal senso una vera e propria controrivoluzione politica e spirituale con metodi rivoluzionari; sia per l’Omodeo (antifascista) che per il Gentile (fascista) quella mazziniana era una demofilia, non una democrazia collettivista giacobina o socialista1. Il divario del Mazzini dal pensiero tradizionale religioso era netto; Mazzini poneva alla base dell’azione sociale la connessione immanente tra l’Arcangelo del popolo o della nazione e l’avanguardia politica mentre l’Arcangelo della nazione è rifiutato dalla dottrina “cristiana” cattolica teocratica. Precisava correttamente Giovanni Gentile che la teocrazia o la religione presuppongono un principio trascendente mentre per Mazzini il Verbo vivente del divino era immanente nel Popolo come idea nazionale che si sarebbe attuata all’infinito2.

Lo Stato Nazionale italiano, mediterraneo e africanista, di Mazzini finiva così per divenire un quid di soprannaturale, una patria celeste calata in terra, un Arcangelo nel regno di Dio ardente nel fuoco del divino amore. Secondo lo storico tedesco E. Nolte, la rottura di Benito Mussolini con il socialismo sarebbe avvenuta nella riscoperta delle idee del Mazzini, messe troppo presto in soffitta dalle élite neorisorgimentali – per quanto parzialmente filtrate dal nazionalismo integrale del Corradini – e fu del resto lo stesso Mussolini, in taluni suoi commenti alla dottrina fascista durante il regime, a specificare che se non avesse avuto alle sue spalle l’originario mazzinianesimo, di cui la Romagna profonda in cui era cresciuto erano la terra eletta, non avrebbe potuto far nulla nella sua vita: il mussoliniano “Il Popolo d’Italia” era chiaramente uno slogan mazziniano come del resto lo era il trinomio “Dio-Patria-Famiglia”. Di contro le Brigate Mazzini, nel fronte armato antifascista, furono dal 1943 avversarie dello stesso Comitato di Liberazione Nazionale, totalmente isolate e combattute da gappisti stalinisti e azionisti filobritannici.  E in effetti, come scrisse Sergio Romano nel suo purtroppo dimenticato Finis Italiae, la Prima Repubblica (la repubblica del CLN) fu la repubblica che legittimò la morte della nazione e il trionfo dell’ideologia anti-risorgimentale, o nella sua versione internazionalista rossa o in quella universalista bianca poco cambia: il trionfo perciò, vorremmo allora dire, dell’Anti-Mazzini che si voleva fare stato eterno antifascista ma non fu altro che anti-Italia che miseramente sarebbe crollata senza lasciare rimpianti3.

In tal senso la pratica politica contemporanea che ridà inevitabilmente corpo a un populismo nazionale originario di essenza mazziniana non può che caratterizzarsi per un autentico contro-movimento spirituale, militante e sociale di fronte a ogni possibile globalizzazione o internazionalizzazione astratta di natura elitista. Proprio nei giorni del Lock Down planetario e cosmpolita imposto all’umanità dalla nuova guerra rivoluzionaria liminale del Partito Comunista Cinese e di Davos abbiamo saggiato la tecnica della nuova rivoluzione globale. Solo due statisti nel mondo hanno in quel contesto denunciato apertamente tale tecnica liminale: Silvio Berlusconi (che aveva già in passato, in buona parte, abbattuto l’antifascismo di stato della Prima Repubblica per quanto circondato da alleati anti-nazionali come Bossi e Fini) e Donald Trump che parlarono, in quei giorni terribili del 2020, di pianificazione tattica e guerra rivoluzionaria da parte delle élite del partito comunista e di Davos. Una guerra rivoluzionaria che, secondo l’antitrumpiana e filocinese  OMS, ha attuato in un paio d’anni una strage di 20 milioni di indifesi cittadini e danni sociali incalcolabili con l’obiettivo del totalitarismo internazionale di Big Tech/Gafam/ Baidu Alibaba Tencent Xiaomi Hauwei contro le imprese piccole e medie e contro il lavoro.

È però chiaro che la sacrosanta denuncia politica di populisti come un Berlusconi o un Trump , poiché possa divenire forza storica e politica popolare e solida, ha bisogno di quel mazziniano processo di metodo basato sulla connessione culturale ed etica tra l’avanguardia e lo spirito nazionale che fa della missione una vera “realtà effettuale” come diceva proprio Mazzini recuperando l’insegnamento di Machiavelli (G. Mazzini, Alleanza Repubblicana, 1866). In tal senso l’unico vero statista del Risorgimento fu Mazzini, non Cavour, che più che machiavelliano fu utilitarista della scuola di J. Bentham. L’unico apostolo dell’Ideale italiano – a più di 150 anni di distanza dal giorno della sua morte fisica – andrebbe perciò assolutamente conosciuto, studiato, applicato per cercare di comprendere meglio ciò che è accaduto storicamente e ciò che accadrà.

Note

1A. Omodeo, L’Età del Risorgimento Italiano, Napoli 1965, p. 303.

2G. Gentile, I Profeti del Risorgimento, Firenze 2004, p. 54.

3S. Romano, Finis Italiae, Firenze 2011, p. 24.