L’UTOPIA E IL NULLA
L’UTOPIA E IL NULLA

L’UTOPIA E IL NULLA

Di: ROBERTO BALDINI

Allora la Terra sarà diventata piccola e su di essa saltellerà l’ultimo uomo, che rende tutto piccolo. La sua genìa è incancellabile come pulce di terra; l’ultimo uomo è quello che vive più a lungo di tutti. “Abbiamo inventato la felicità” dicono gli ultimi uomini e ammiccano.

Nietzsche parla in questo modo della nostra fase storica, l’epoca della morte di Dio, della post-verità, in cui l’essere umano, ubriaco dell’ideale di un progresso tecnologico senza fine, ritiene di poter fare a meno di una dimensione di senso dell’esistenza. Simile alla pulce, questo essere umano vive in una dimensione microscopica, incapace di aprirsi all’immensità delle possibili alternative dell’esistenza.

È la dimensione del nichilismo.

Nietzsche descrive il nichilismo come una opportunità: di fronte alla perdita dell’orizzonte di senso, l’essere umano potrebbe essere libero di trascendere se stesso, trasvalutare i valori imposti dalle società precedenti e diventare “Oltre-umano”, cioè il creatore di se stesso e di valori vitali, profondamente estetici, come un bambino che gioca gioiosamente. Questo è ciò che Nietzsche definisce “nichilismo attivo”, contrapposto al “nichilismo passivo”, che altro non è che un crogiolarsi auto-indulgente e compiaciuto nel Nulla.

Questo esito felice del processo è però tutt’altro che scontato: innanzitutto, occorrono grande forza e determinazione per “diventare creatori di valori”, inoltre esistono forze che spingono in direzione contraria. Ovviamente non stiamo parlando di misteriose forze occulte: è un ben preciso processo, determinato da interessi politici ed economici intrinseci al capitalismo e alla società di massa.

Queste due forze – collegate e dipendenti l’una dall’altra – agiscono attraverso il depotenziamento delle forze creative dell’essere umano, che viene spinto ad agire secondo schemi prefissati e prevedibili, secondo algoritmi che lo rendano un consumatore adatto a ingurgitare qualunque cosa venga prodotta.

La lotta per il dominio sugli esseri umani passa attraverso il dominio delle loro credenze, del loro immaginario; è un fatto narrato in modo mirabile nel libro La storia infinita di Michael Ende, in cui si racconta di come il mondo di Fantasia sia minacciato dall’incombere del Nulla. Nella Storia Infinita il Lupo Mannaro Mork racconta all’eroe Atreiu come il Nulla che avanza sia alimentato da uomini che desiderano spazzare via il legame fra l’Immaginazione e gli esseri umani, trasformando le creature che la popolano in fantasmi, illusioni prive di sostanza attraverso cui dominare una umanità svuotata.

E quando ci siete caduti dentro, vi rimane addosso, il Nulla. Siete come una malattia contagiosa, che rende gli uomini ciechi, così che non distinguono più l’apparenza dalla realtà

Hannah Arendt ci illustra in maniera lucidissima come la chiave del dominio dei regimi totalitari sia proprio il controllo dell’immaginario delle persone: “Il suddito ideale del totalitarismo” scrive la filosofa nel Le origini del totalitarismo, “non è il nazista convinto o il comunista convinto. E’ la persona che non è più in grado di distinguere la verità dalla falsità”. Durante il processo di Eichmann – che racconta ne La banalità del male – ella restò particolarmente colpita da come il nazista avesse completamente abdicato alla sua autonomia di pensiero. Il suo immaginario era quello del Fuhrer, al punto tale che Eichmann si sentiva legittimato nel dire che egli agiva animato da una profonda etica kantiana, nel senso che agiva per puro dovere, al di là delle sue convinzioni.

Hannah Arendt osserva come la definizione che Eichmann aveva dato dell’imperativo morale kantiano fosse corretta… a parte per un unico, importantissimo, particolare: Kant sostiene l’assoluta necessità che l’individuo sia guidato, nel suo agire, da un giudizio autonomo e libero e non dalla volontà di una legge esterna applicata in modo acritico.

Il Nulla è strumento potente nelle mani di chi desidera manipolare le masse. Esso agisce spegnendo la nostra capacità di riempire di senso il mondo. Privato di senso, il mondo diventa regno dell’utile, del valore economico. Il senso intrinseco di noi stessi e dell’esistenza viene sostituito da una valutazione estrinseca basata sulla domanda “A cosa mi serve?”

Cose come l’esperienza estetica, l’etica, il libero gioco, arte e poesia, il piacere di vivere e sperimentare… tutte queste cose hanno senso ma non utilità. Esse vengono sminuite e derise. “Abbiamo inventato la felicità” dicono gli ultimi uomini e ammiccano.

Sempre nella Storia Infinita:

Là ci sono anche una quantità di poveri sciocchi (che naturalmente si considerano molto intelligenti e credono di servire la verità), zelantissimi nel convincere i bambini a non credere all’esistenza di Fantàsia.

Veniamo educati a deridere il mondo dell’Immaginazione, ma così facendo rinunciamo alla possibilità di pensare a modi diversi di essere nel mondo. Rinunciamo al nostro potenziale creativo.

Henry Corbin definì questo Mundus Imaginalis, ovvero il mondo dell’Immaginale. Esso non è semplicemente un mondo immaginario di illusioni e fantasie, ma è la dimensione archetipica in cui possiamo trovare la radice di noi stessi, perchè l’esistenza è immagine prima di diventare concreta. Nell’Immaginale si trova ciò che potenzialmente può essere. E’ il regno degli archetipi, che precedono ciò che siamo. Noi pensiamo di produrre l’Immaginale archetipico, ma in realtà siamo noi a essere prodotti da esso. Siamo esseri fatti di narrazioni. Ognuno di noi deve essere immaginato e deve immaginare se stesso per poter esistere appieno. Se non è capace di immaginare se stesso, altri lo immagineranno.

Dov’è l’Immaginale? Come si raggiunge? Le fiabe ce lo dicono. Quante energie abbiamo usato per screditarne la saggezza! Fiabe e miti non sono solo racconti di fantasia o spiegazioni ingenue per giustificare il mondo; sono mappe che ci aiutano a raggiungere l’Immaginale e a muoverci in esso. Esse danno forma e senso al nostro mondo. Oggi abbiamo stracciato le nostre fiabe senza scriverne altre. Abbiamo rinnegato gli dèi che le abitano, credendo di poter fare a meno di loro ma, così facendo, ci siamo solo voltati dall’altra parte e – per usare le parole di Hillman ­ gli dèi sono diventati le nostre malattie.

L’Immaginale è sempre un luogo situato oltre la sfera del reale. Seconda stella a destra. Nella mistica islamica è detto Na-koja Abad, ovvero “La terra di Nessun-dove”. È letteralmente “utopia”, il “non-luogo” del possibile.

Utopia è un termine interessante. La sua etimologia è apparentemente greca, ma in realtà è un termine che in greco non esiste, fu coniato da Thomas More nel Cinquecento. Utopia è un paese ideale, ma non è inesistente, è semplicemente non raggiungibile. In greco, infatti, “Luogo inesistente” avrebbe dovuto chiamarsi atopia. Utopia è ou-topia, ovvero non luogo, ma il modo in cui si pronuncia in inglese rimanda anche a eu-topia ovvero “buon luogo”.

L’utopia è la bella possibilità. Non è un luogo reale, è una potenzialità da realizzare. È frutto dell’Immaginazione, ma chiede di essere manifestata nel mondo.

Oggi gli ultimi uomini ridono delle utopie. Esse vengono considerate prodotti ingenui, frutto di fantasie. Il cinismo è considerato intelligente e infatti la nostra letteratura e il nostro cinema non sono più in grado di produrre utopie, mentre sono capacissimi di generare distopie.

Così come l’utopia è manifestazione di un sogno, la distopia è manifestazione dell’incubo. La distopia ci mostra come tutto il nostro straordinario potere creativo – non più guidato da un senso – si possa rivoltare contro di noi. La distopia mette in scena il trionfo del Nulla.

Certo, questo fatto rende le distopie utilissime come monito contro i rischi di una tecnica non guidata da un’etica, ma non sono creative: esse infatti si limitano a mostrarci scenari di incubo, insegnandoci quanto l’essere umano sia radicalmente cattivo. Anche il racconto degli “ultimi uomini” narratoci da Nietzsche nel Così parlò Zarathustra è una sorta di distopia.

L’utopia – al contrario – è la possibilità per l’essere umano di essere altro, di trascendere ciò che lo rende abietto per realizzare la sua natura più vera.

La via per trasformare il nichilismo passivo in nichilismo attivo passa attraverso il riappropriarsi delle vie di accesso all’Immaginale. Dobbiamo riacquistare la forza di immaginare futuri possibili, riportare attenzione al sogno e all’arte, alle manifestazioni straordinarie della creatività umana. Creatività che – quando è autentica – non è il gioco di prestigio di un illusionista, ma autentica magia. Non è vuota fantasia e retorica interessata, ma manifestazione dell’utopia.

Un commento

  1. Luca

    Creare utopie e non distopie, bello. Realizzabili no, ma provare a renderle realizzabili non sapendo come fare.
    Occorre acere la forza di volere per forza il successo, le distopie hanno successo. Non cercare il successo nella realizzazione (ma cosa il bello?, l’arte forse meglio?) forse è fondamentale per trascendere i valori della società odierna. Rischioso… come l’inutile.

I commenti sono chiusi.