UNA NOBILE LOTTA
UNA NOBILE LOTTA

UNA NOBILE LOTTA

Di: Edoardo Nasini

Quei soldati Giapponesi che non si arresero

Come diceva il grande poeta nipponico Yukio Mishima, “La peggior sciagura per un uomo d’azione è non morire, neanche dopo aver raggiunto un ultimo punto giusto”.
Forse è proprio questo che pensava Hiroo Onoda quella mattina di Febbraio del 1974, quando come un vero ultimo samurai, scendeva a patti con il tempo.
Torniamo indietro, precisamente al 1944.
Alla scuola militare di Nakano, un anno prima, Onoda si era diplomato e specializzato in tattiche di guerriglia, che avrebbe messo in pratica nelle foreste filippine poco tempo dopo.
Quel fatidico 26 dicembre del ’44, una data che resterà impressa come ferro rovente nella mente di Onoda, il giovane ufficiale venne inviato proprio a Lubang, con l’ordine, insieme ad altri commilitoni e membri delle milizie irregolari al servizio del Sol Levante, di resistere ad ogni costo,
all’avanzata Alleata.
Di animo saldo e fede incrollabile, in quei giorni Onoda onorò il sacro giuramento fatto alla patria, quello di difenderla fino alla morte, di combattere e morire per il Divino Tennō.
Guerreggiò animato dal patriottismo per settimane, con lo spirito sicuro di chi sa che, in qualunque momento la morte avesse voluto raggiungerlo, lui sarebbe stato pronto.
In un preciso giorno, il 28 Febbraio 1945 infatti, gli alleati, alle prime ore dell’alba, lanciarono una potente offensiva sul fronte di Lubang, devastando completamente la guarnigione Giapponese e vanificando ogni possibilità di difesa da parte dei nipponici.
Con la quasi totalità dei difensori spazzata via, Onoda e altri tre commilitoni presero la decisione di rifugiarsi tra le lussureggianti montagne dell’Isola per tentare di imporre ancora una seppur sterile
resistenza.
E così fu per tutti i compagni d’arme, uniti sotto il vessillo del Sol Levante, almeno fino al 1949, quando Yuichi Akatsu, uno dei quattro guerriglieri, decise di abbandonare la posizione ed arrendersi.
Akatsu, presi contatti col nuovo governo Giapponese, tra il ’49 e il ‘52 spinse per far ritrovare gli altri commilitoni e cercare di ricondurli a casa con una campagna di ‘’Propaganda’’ che consisteva nello sgancio sull’isola di foto, lettere e ritratti di famiglia degli insubordinati.
Inutile dire che tutto si rivelò inutile e sia Onoda che i restanti Shimada e Kinshichi restarono saldamente arroccati sulle montagne Filippine, continuando la loro lotta, vivendo di furti di bestiame e viveri.
Nel 1954, durante uno scontro a fuoco con la polizia filippina, perderà la vita Shoichi Shimada e nel 1972, a distanza di quasi venti anni, anche Kinshichi incontrerà la stessa sorte del compagno di guerriglia, correndo, per un’ultima volta, contro il piombo ‘’nemico’’.
Dunque, rimasto solo e creduto morto dalle autorità giapponesi sin dal 1959, Onoda continuò la sua solitaria e malinconica avventura di guerra e guerriglia, in una sorta di romantico surrealismo, oramai soldato di sabbia, pronto a lasciarsi soffiar via dal vento del tempo.
La famiglia, a differenza del governo, non volle mai credere alle voci sulla sua presunta morte e, il 20 febbraio 1974, dopo 30 anni dal suo arrivo sull’isola, venne finalmente rintracciato.
La mente della spedizione Norio Suzuki, convinse il vecchio comandante di Onoda, il Maggiore Taniguchi a recarsi a Lubang per parlare col guerrigliero e convincerlo a tornare a casa.
Dopo alcune trattative, oramai convinto della fine delle ostilità, Onoda fece ritorno in Giappone, accolto con gli onore di un eroe.
Si trasferirà insieme al fratello in Brasile nel ’76, non riuscendo ad adattarsi alla nuova realtà nipponica, troppo distante dall’orizzonte a cui aveva consacrato trent’anni della sua vita, per fare ritorno negli anni ’80 con l’intento di edificare una scuola che prenderà più avanti il suo nome.
Nel 1996 poi, donerà 10.000 dollari ad una scuola di Lubang, tornando sull’Isola dopo 22 anni, questa volta disarmato e con l’anziano volto solcato da un sorriso.