The walking man
The walking man

The walking man

 

Quello che state per leggere è un racconto da brividi. Il genere è l’horror e gli antagonisti della storia sono esseri che mi spaventano molto: gli Zombie. Sono così ossessionato ed impaurito che li inizio a vedere anche di giorno.

 

Esco dal supermercato e mi sbarra la strada uno zombie che si protende verso di me, che prova ad afferrare le mie monetine. Cammino per strada e ogni dieci passi c’è uno zombie che barcolla, sporco, che sproloquia, che mi guarda con gli occhi iniettati di sangue, disperato, che vuole, che vuoi da me? Vai via! Dopo venti passi ne trovo uno ferito a terra, che sbraccia, che vuole aiuto ed io nemmeno lo guardo: sarà sicuramente una trappola, vorrà solo mangiarmi il cervello. Le caratteristiche di uno zombie le sanno tutti: incoscienza, violenza e mancanza di rispetto per la civiltà.

Il termine deriva da un rito voodoo haitiano: indicava un sortilegio che lo sciamano compiva a ridosso dei morenti. Lo stregone strappava una porzione di anima ad una vittima per tenersela in una fiaschetta metallica. Tale incantesimo produceva nel deceduto non più la morte, ma un forte stato di letargia. E dunque, la possibilità di essere riportato in vita a distanza di anni. Ma la vita ritornava solo a metà: questi corpi si presentano senza scrupoli e senza sentire dolore, diventano schiavi perfetti. La reinterpretazione occidentale di tale leggenda irrompe nell’immaginario collettivo tramite il grande schermo. Con la Notte dei morti viventi, film cult del 1968, i morti viventi assumono le sembianze apocalittiche e cannibaliche che gli diamo ora.

Vorrei tanto sbagliarmi, ma mi sembra che la metafora sia produttiva e allo stesso tempo straniante: i continui sbarchi che avvengono sulle coste italiane sono percepiti come una continua invasione da cui difendersi. Lo sceriffo Grimes è pronto a dimostrare il proprio coraggio, è pronto a sparare e a difendere gli interessi dei vivi, è pronto ad erigere alte barriere che ci proteggano dalla fagocitazione della carne e dei beni da parte di questi non morti che non hanno diritto ad essere vivi. L’immigrato è di fatto uno zombie: così affamato da sembrare un cannibale, così sporco e denutrito da avere gli occhi stralunati ed iniettati di sangue, così incapace di comunicare che parla con un italiano incivile e balbuziente (aggiungerei anche “con un tono piagnucolante”, ma si sa che in realtà fingono di lamentarsi, non è da tutti avere trentacinque euro al giorno, pff magari io prendessi i soldi per non fare niente).

L’umanità sembra aver perso di vista quale sia il bene e quale il male. Sembra non aver più due occhi, ma soltanto uno.

Questi esseri striscianti che cercano di invadere l’Italia possono anche morire, non sarebbe una perdita per nessuno: non sono umani, sono zombie. La flotta brulicante di mani nere che si protende verso l’Europa a chiedere aiuto, in mezzo al mare, viene confusa: l’immagine pietosa che vediamo non ha volti, ma solo mani; a nessuno interessa la loro storia, tanto meno il futuro, perché visti dalla tv non sembrano nemmeno in pericolo, piuttosto sembrano UN pericolo. La loro immagine passa sullo stesso schermo dove migliaia di mani zombie si protendono verso il nostro eroe per cercare di ucciderlo, di convertirlo, di farlo diventare uno zombie e noi siamo lì, con lo stomaco in gola a tifare che l’eroe viva, che non abbia pietà per gli zombie. È impossibile notare del bene negli occhi degli zombie: loro vogliono solo te: istintivamente la tua carne è fonte di vita, per la loro non vita parassitaria. Non guardo la televisione, non la ho, mi informo tramite giornali (web o cartacei), ma mi accorgo, quando pranzo da mia nonna, che le immagini mediate dai media hanno un obiettivo persuasivo specifico (e unificante). Anche con il volume abbassato, le immagini le vedi: la flotta dei migranti è al centro, su un gommone, con ormai il giubbotto di salvataggio ben legato, alcuni messi già in salvo, altri con le braccia tese in cerca di aiuto. Niente primi piani di donne che piangono, niente bambini allattati, niente storpi o menomati, niente che possa portare a compiangerli. Salvini, il nostro sceriffo, è sempre indignato, con il pugno teso, dietro al tricolore. Berlusconi è sempre bellissimo e calmo. Renzi è a bocca aperte. Di Maio sorride sornione. Vado avanti?

L’iperbole che sto volutamente tracciando, che meriterebbe molte altre digressioni, che fine ha? Dove tende tale procedimento caricaturale? Il processo di “effetto sveglia” a cui miro, per aprire gli occhi a tanti italiani che si compiacciono della disumanità, è difficile e rischioso: come quando devi svegliare un sonnambulo e non sai mai se sarà violento; dunque, il mio tendere è a fin di bene, ma invece di gratitudine, potrebbe trovare solo altra violenza.

Ma

Ecco scrivo, cari piccoli. Non ho tendine né osso che non dica in nota acuta: «Più non posso». Grande fosforo imperiale, fanne cenere.

(Composita solvantur, F. Fortini)

Io scrivo noncurante delle bombe, anzi affinché nessuno, nemmeno con acuto sarcasmo invochi mai le bombe (il «fosforo imperiale») per risolvere lo scenario apocalittico degli zombie- immigranti.

Utopica sembra la risoluzione del problema migranti, ma non deve sembrare in-attualizzabile ridonare vita ai non morti, umanità e compassione alle immagini e buon senso all’opinione pubblica.