LIBERI DENTRO
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LIBERI DENTRO

Di: Michela Bianconi

IL DIALOGO CREATIVO TRA PSICHE E MATERIA

Se penso alla separazione, io penso sempre alla nascita. La nascita di un individuo, di qualunque razza o specie esso sia, inizia sempre da qualcosa che si separa. Del resto, PARTO e PARTENZA non hanno forse la stessa etimologia?

C’è sempre qualcosa che parte spontaneamente, o collabora al proprio parto, e qualcosa che viene lasciato partire o che partorisce.

La separazione ci rende individui unici e irripetibili e per farlo si serve sempre di una matrix, di una matrice o un punto di partenza. In altre parole: una madre.

Se pensiamo alla matrix per eccellenza, non possiamo non far riferimento alla terra, matrice di ogni vita, da cui tutto nasce e a cui tutto torna, per ripenetrare in essa e rifertilizzarla, aprendo a nuove forme di vita.

In fondo ogni opera creativa nasce da un materiale, che sia questo dei più fini e sottili (come l’immaginazione di uno scrittore o di un musicista, un materiale impalpabile e fatto di sensazioni) o più concreto, palpabile, malleabile, come la creata, la lana o i colori di un pittore. Insomma ad ogni artista il materiale giusto da cui trarre ispirazione e al quale far riferimento per dare una forma alla propria opera.

Come ad ogni bambino la sua mamma.

Prendiamo la parola creatività. Creo, creare deriva dalla particella CR-, inserita all’interno di parole come Cristo, Crisalide, Crisi, Criminale. Tutti termini che indicano necessariamente un prima e un dopo. E una differenza sostanziale tra il prima e il dopo. Vogliamo vederli? Partiamo da Cristo, l’unto da Dio per eccellenza, la cui venuta ha segnato profondamente il corso della storia. Per crisalide s’intende lo stadio intermedio tra il bruco e la farfalla (non più bruco ma nemmeno già farfalla). Crisi: chi non ha mai attraversato un periodo così carico di forse e di indecisioni? Criminale: colui che si distingue dalla massa, compiendo atti che si discostano dalla norma sociale.

CR. Due lettere che sembrano contenere in sé qualcosa di assolutamente trasformativo. Ebbene CR derica a sua volta da CR-ine, una sorta di pelo lunghissimo (i più famosi che possiamo qui nominare sono quelli della coda di alcuni animali, come ad esempio, i cavalli o quelli che compongono la caratteristica cr-iniera dei leoni maschi) anticamente utilizzato per costruire SETACCI. E un setaccio, si sa: serve a separare.

E così separazione diventa madre di creatività, anche in senso etimologico.

Ma entriamo ancora meglio in questo immaginario.

Vi cito due brevi miti: quello di Urano e Gea, dalla cui separazione si sviluppò il mondo, e quello Orfico sull’origine della vita. Si tratta di due miti cosmogonici (che spiegano cioè entrambi come nacque il mondo) ed in entrambi i casi la separazione viene messa in evidenza come punto focale.

Perché ciò accade? Perché, come ben illustrerà il primo mito, senza separazione non c’è margine di crescita, non c’è spazio di separazione.

MITO DI URANO E GEA:

In principio ci fu il Caos. Così inizia la Teogonia di Esiodo. Una voragine simboleggiante l’indistinta e oscura confusione del tutto. Dal Caos nacque poi la Terra, Gea o Gaia, madre universale, antichissima, che nutre tutti gli esseri, quanti vivono sulla terra, quanti camminano, quanti sono nel mare e quanti volano

Senza unirsi ad alcun’altra divinità maschile, Gea diede poi origine alle Montagne, al Mare e a Urano, il Cielo, che divenne suo sposo.

Dall’unione con il dio, Gea concepì i Titani (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono) e le sei Titanidi (Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti). I Ciclopi, esseri giganti con un solo occhio, e gli Ecatonchiri, mostruose creature con cento braccia. Urano, però, aveva in odio questi figli. E li seppellì sul fondo del ventre materno, dove questi non poterono svilupparsi.

Ad ogni figlio venne così impedito di crescere e vivere, finché Crono, il Tempo, con l’aiuto della madre che lo armò di falce, approfittando della discesa paterna, lo castrò, costringendolo a fuggire in esilio.

Lo spazio che si creò tra Gea e Urano permise alla Dea di partorire i propri figli. E questi, unendosi tra di loro, diedero vita a tutti gli elementi naturali.

Questo mito c’insegna un fattore fondamentale, che non possiamo assolutamente dimenticare. E cioè che: finché si rimane incastrati nella prima materia, nella matrix che ci concepisce, nulla nasce mai davvero a se stesso. E questo è tanto valido per qualunque essere vivente, quanto lo è per un artista: è rimasto celebre, ad esempio, il detto di Michelangelo con cui l’artista spiegava la creazione delle proprie opere: liberando il contenuto dal marmo che lo intrappolava. E qui torna l’immagine del setaccio in un modo o nell’altro: uno strumento che separa, distinguendo il nuovo dal vecchio e il sottile dal grossolano.

È ciò che, in termini tecnici, la Psicologia Archetipica, di cui mi occupo, definirebbe come separare lo psichico dal materiale o ritiro delle proiezioni. Per intenderci: possiamo immaginare lo stato di unione di psiche e materia come quello del bambino piccolo che, sbattendo per sbaglio contro un tavolo mentre sta giocando e facendosi male, se la prende con il tavolo stesso, dicendogli che è cattivo. Crescendo, il bambino impara che il tavolo non ha colpa per il suo dolore, lo priva della sua responsabilità e la riprende su se stesso, riconoscendo che è stato un suo comportamento sbagliato a procurargli la BUA.

Ecco, questo, molto semplicemente, è il separare lo psichico dal materiale, l’interno dall’esterno. Un evento che, se si svolgesse sempre così linearmente, renderebbe l’80% circa del lavoro di uno psicologo, se non proprio il 100%, del tutto inutile.

Procediamo però lungo questo asse di riferimento. E torniamo al nostro bambino e alla sua bua.

Cosa accade a questo piccolino al momento in cui inizia a separare (cioè a vedere di fronte a se stesso, confrontandosene) la propria responsabilità da quella del tavolo? Quando cioè inizia a separare (cioè a soppesare) ciò che gli appartiene da ciò che non gli appartiene? In parole tecniche: quando ritira la proiezione?

Ebbene, il nostro eroe acquisisce una conoscenza. Capisce cioè non solo che è merito di un proprio comportamento se si è fatto la bua, ma anche che, se eviterà di comportarsi così nel futuro, molto probabilmente non si metterà più nelle condizioni di sbattere contro il tavolo e farsi male. Detto in altro modo: fa coscienza, intesa come “conoscere con se stessi” qualcosa che lo riguarda da vicino e che fa parte di lui. E, così facendo, crea un’immagine di se stesso.

Ora, provate ad immaginare quante esperienze di separazione psiche/materia accumuliamo nell’arco della nostra vita e avrete una vaga idea di quante volte quella famosa immagine di sé viene rimodulata o ri-creata. Messa in gioco, messa in discussione, talvolta addirittura distrutta e ricostruita da zero.

È così che, nel dialogo tra psiche e materia, quasi in un perenne gioco sul bagnasciuga della spiaggia, noi costruiamo noi stessi. In uno spazio intermedio, in un luogo dove le sostanze si mescolano, si sovrappongono, entrano in una sorta di danza reciproca. Una danza fatta di passi e pause. Di ritmi e soste.

Diventa ovvio, allora, pensare che più impariamo a muoverci, giocando con leggerezza, su questa sfumata linea di confine, aprendo ad un dialogo tra aspetti psichici e aspetti materiali, fungendo da mediatori tra di essi, quanto più diventiamo creativi nei confronti di noi stessi. Facendo conoscenza con noi stessi.

Voglio ora raccontarvi il secondo mito, prima di lasciare la parola alle mie colleghe.

IL MITO ORFICO:

Anche secondo questo mito, come quello narrato in precedenza, il mondo nacque dal caos, dal caos e dal vuoto, per l’esattezza, dai quali si distinsero, poi, la Notte e il Vento, progenitori ancestrali dell’Uovo Cosmico.

L’uovo è sempre un inizio. Quale cerchio, palla e rotondo (testa) esso è il chiuso in se stesso, senza principio e senza fine. La sua perfezione primigenia è anteriore a qualsiasi decorso. Ed esso è eterno, poiché la sua rotondità non conosce alcun prima e alcun dopo. Non esiste per l’uovo, infatti, alcun tempo né alcuno spazio. Esso è perfetto perché contiene in sé tutti gli opposti e li contiene in quanto principio, perché come contrari non sono ancora stati separati. Non esiste differenziazione nell’uovo primordiale. Per questo, in quanto tale, esso è allora anche ermafrodito, maschile e femminile allo stesso tempo. Autarchico, autosufficiente e soddisfatto in sé. L’archetipo dell’Uno-Tutto che dice: “Io sono l’alfa e l’omega”.

In questo luogo di perpetua coabitazione degli opposti, che potremmo rappresentare anche come un Uroboros che divora, partorisce e uccide se stesso, in un continuo susseguirsi di vita e morte, è contenuta tutta la creatività dell’inizio. Qui domina, infatti, la divinità che ancora non è uscita da se stessa. Che ancora non ha parlato. È il dio prima del fiat lux. Prima della separazione degli elementi. Prima della creazione attraverso il suono e la parola. Intellectus ipse. Logos puro.

Con il passare del tempo, gli elementi contenuti nell’Uovo, iniziano a suddividersi. I più leggeri in alto, i più pesanti in basso. Finché la differenziazione di questi elementi porta alla rottura dell’Uovo, portando alla nascita del Cielo, della Terra e…di Eros, detto anche Ericepeo, cioè: colui che si nutre di erica. E l’erica, dal greco ἐρείκη (eréikē), frango, e ἐρείκω (ereíko), trito, sbriciolo, richiama proprio alla separazione primigenia. Alla differenziazione da cui il dio stesso nacque, configurando, dunque, questa divinità (che siamo soliti invece intendere come una divinità che unisce) come colui che si nutre, cioè che ingloba in sé, trasformandola in propria sostanza, proprio della separazione. La separazione è l’origine di Eros.

Vi ho raccontato questo mito per ribadire sempre di più che ciò che nasce dalla separazione è l’AMORE.

Senza amore non c’è possibilità di evoluzione.

EROS, colui che si nutre, come abbiamo detto, di erica, è dunque il dio della creatività per eccellenza: 1) perché si porta dietro il desiderio di riunire tutto ciò che è stato separato e 2) perché nel suo aspetto PHANES, come colui che appare, consente al mondo (e a noi di rimando) di apparire a se stesso. Dà alla luce, mette al mondo e il mondo in condizioni di essere visto e conosciuto.

Eros, come la grande passione, è ciò che ci spinge ad andare oltre, separandoci da ciò che abbiamo e siamo già, per andare verso e congiungerci con il nuovo, creando nuovo. E ricordandoci sempre che:

Come ci suggerisce l’equazione di Dirac, qui riportata:

Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema.

Tutto ciò con cui interagiamo nella nostra vita, diventa infatti una parte di noi. A distanza di tempo e di spazio, continua a re-inviarci segnali su ciò che siamo e su chi siamo. Si trasforma, dunque, in relazione con noi. E ci trasforma.

Basta saperlo accogliere, lasciandosi di-vertire.