IL CANTO DEL CIGNO DEL MONDO ANTICO
IL CANTO DEL CIGNO DEL MONDO ANTICO

IL CANTO DEL CIGNO DEL MONDO ANTICO

Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo

di: Francesco Subiaco

L’accordo tra l’io e l’Uno, tra il permanente e il momentaneo, tra le ipostasi e il suo centro è il centro della filosofia plotiniana. Una filosofia del ritorno, dell’accordo con l’Anima mundi. Che si sviluppa in un momento caotico e confuso. In quel tempo in cui i maghi, i taumaturghi, i visionari, avevano sostituito i filosofi, gli studiosi, gli intellettuali. In una visione del mondo in cui confluiscono le principali idee del suo tempo. Dalla corrente classica, quella della filosofia platonica alle visioni del misticismo, del sapere sapienziale orientale, dei culti esoterici del mondo egizio, alle suggestioni, avversate, dello gnosticismo. È l’autobiografia della crisi dell’impero Romano e allo stesso tempo il ponte verso la filosofia cristiana. Il ritorno verso un platonismo dimezzato, che passa dal dualismo al monismo, di un culto del bello e dello spirito che incarna il sapere dell’antichità classica e allo stesso tempo una concezione nuova della filosofia, che sacralizzandosi costruirà le impalcature della teologia, soprattutto patristica. Perché Plotino nelle sue Enneadi I-II (MIMESIS EDIZIONI), costruisce una filosofia che alla magia ha riportato al centro il Logos, alla superstizione la filosofia. Una filosofia che l’ipostasi degli dei e dell’Uno. Il mondo è una emanazione di questo sommo bene, di questa entità superiore, gli gnostici lo chiamerebbero eoni. Dietro alla magia, alla religione c’è questo Uno. che si nutre di ipostasi, mascheramenti, rappresentazioni. L’Uno è il dio Ra, il Sol Invictus, Giove Capitolino. È l’essere e l’eterno. Un essere che può essere raggiunto tramite la filosofia, l’arte, la bellezza. Una filosofia occidentale che apre sulle porte dell’oriente. Poiché nelle Enneadi confluiscono i testi delle Upanishad ed il sapere sapienziale indiano. Propugnando una filosofia mistica che è riassumibile come un lungo viaggio verso il divino, verso l’assoluto: “Il nostro impegno non è rivolto a liberarci dal peccato, ma ad essere Dio”(I, 2, 6). Viaggio che si compie inseguendo la filosofia e la bellezza, riflessi dell’uno. (“Infelice è colui che non consegue il Bello, il solo Bello. […] Ciascuno diventi bello e simile al Dio se intende contemplare e Dio e il Bello” (I, 4, 1-5)). Un viaggio di ritorno, non una elevazione, una fusione con l’originario non una estasi di un qualcosa di altro, di lontano. Infatti “L’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un’anima vedrebbe il bello se non fosse bella. Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza”. L’unico modo per Plotino di questa metamorfosi sta nel “conoscere se stessi”. Una filosofia difficile quanto raffinata, lontana quanto ancora viva e attuale. Il canto del cigno del mondo antico, la voce insita misteriosamente nel cristianesimo, l’eco dei passati perduti per un lettore attuale. Tutto questo è stato Plotino.