CONFESSIONE DI UN RECENSORE DI LIBRI
CONFESSIONE DI UN RECENSORE DI LIBRI

CONFESSIONE DI UN RECENSORE DI LIBRI

Di: Francesco Subiaco

Il recensore di libri è un truffatore, un truccatore della cultura. Che acconcia ritratti che sono tanto più belli quanto lontani dalla realtà del testo. È un pianista che suona sempre i suoi quattro accordi riusciti, adattati ad ogni canzone, ma che al posto delle note scrive “libro necessario”, “capolavoro del momento” “un grande tesoro dimenticato della letteratura”. Il recensore è un nevrotico che gode del privilegio di poter vivere lontano dalla quotidianità, rifugiato in una casa-sepolcro tra pile di carta, di appunti, di libri mal sottolineati. Come disse Leon Bloy è “una persona che cerca domicilio in un letto altrui”. Scroccone avventuriero di deserti da migliaia di pagine, è la vittima involontaria delle sue scelte. Tomi sperduti letti malvolentieri, recensiti a campione(una ventina di pagine e via). Sicuramente se la passa meglio dei suoi colleghi cinematografici, a cui vengono offerti sconti validi come bicchieri “di sherry”  e che lo portano anche ad uscire di casa… il recensore però ha il grande pregio del setacciature di capolavori, di cui molto spesso non si accorge. Come un alchimista scorge gemme quando tutti vedono pietre(spesso anche il contrario), come un maestro alcuni scolari promettenti tra i tanti mediocri(si tratta però sempre di una statistica avida). Lo pensava bene George Orwell che prima di essere l’autore dei pluricitati 1984 e Animal Farm, è stato un giornalista acuto ed un recensore spietato quanto profondo e poliedrico. Che prima del sottoscritto aveva già scritto un’elogio-stroncatura del recensore, raccolto, e da poco proposto al pubblico italiano dall’editore ASPIS.

Editore che rinuncia(per fortuna) alla mania delle “nuove imperdibili edizioni di 1984 e La fattoria degli animali”, di cui ogni lettore sano di mente è francamente esausto quanto basito sul perchè di queste ristampe. Soprattutto perché George Orwell oltre che un narratore distopico è un grande romanziere (Fiorirà l’aspidistria), cronista (Omaggio alla catalogna), ma soprattutto critico, giornalista, poeta.

Questi ultimi aspetti sono contenuti in “Fuori dalla balena”(ASPIS), una raccolta atipica di scritti orwelliani.

Dalle poesie, alle ricette, dalla critica sociale alla pittura, dalla politica alla scienza. Focalizzandosi soprattutto sulle recensioni e i testi di critica letteraria. Raccontando il secondo Eliot passato da “una fulgida disperazione ad una fede malinconica”, incapace di mostrare lo straniamento dell’intellettuale di fronte alle “brutture del mondo” rincasatosi in una poesia più rassicurante causata dalla sua conversione all’anglicanesimo e a certezze più granitiche. Valutando che “la cosa davvero mortifera per un poeta è il conservatorismo poco convinto e le certezze a cui si vuole credere”. Recensioni in cui Orwell, parlando di quel saggio di Tolstoj, in cui l’autore di Guerra e pace stronca veementemente Shakespeare per privilegiare l’estetica all’etica, nonostante la sua visione per cui tutta l’arte è propaganda e il convincimento che il bardo dell’Avon è tutto tranne un grande filosofo, rintraccia nella produzione del drammaturgo una profondità ed una grandezza maggiore di ogni convinzione etica. Difendendo Kipling poiché era “l’unico scrittore popolare inglese di questo secolo che non era al tempo stesso uno scrittore assolutamente pessimo”. Imperialista, ovviamente, ma non un razzista o un colonialista, o un pessimo scrittore come viene accusato. Accuse dovute principalmente alla sua identificazione “con la classe degli ufficiali, e possiede una cosa che le persone non possiedono mai, e che è il senso di responsabilità. La sinistra middle class lo odia per questo quasi quanto per la sua crudeltà e la sua volgarità. Tutti i partiti di sinistra nei paesi altamente industrializzati sono in fondo un’impostura, perché hanno tutti gli interessi a lottare contro  qualcosa che non vogliono veramente distruggere”, mancando però di ogni responsabilità verso quella società che cercano di abbattere e li mantiene assiduamente. In “Fuori dalla balena” Orwell mischia le sue poesie inedite (splendida the pagan), le stroncature verso il nazismo, i saggi sugli autori più alti del novecento (Miller, Waugh, Yeats), a giudizi fulminanti sul rapporto con la scienza e la fede nel progresso. Scoprendo lati nascosti di questo “socialista asociale” che andrebbero conosciuti come sono conosciuti i vari “war is peace” citati a sproposito o no.