Requiem per le Fonti del Clitunno
Requiem per le Fonti del Clitunno

Requiem per le Fonti del Clitunno

Di Yuri Di Benedetto

Diciamolo subito, le Fonti del Clitunno per come le conosciamo non esistono più, almeno non nella loro forma più recente.
Lo dico, lo vedo, lo sento, lo penso.
Non ce la faccio, capisco di essere fuori luogo, fuori tempo.
Ma non mi interessa persuadere nessuno o convincere di qualcosa.

Il mio è un triste omaggio ai luoghi della mia infanzia, della mia quotidianità che definitivamente svaniscono per come li ho conosciuti.

Quel luogo caro ai poeti di ogni tempo che venivano qui a rinfrancar la fede ai destini d’italia è oggetto di una “manutenzione straordinaria”, che terminerà al solstizio d’inverno e che lascia intendere quale stravolgimento porterà.
L’abbattimento di più 30 piante centenarie, e la potatura di altrettanti alberi.

Teniamoci care le ultime foto, (stampatele, che tutto quello che è digitale non regge) perché siamo gli ultimi ad aver goduto di questa oasi ormai persa.

Certamente i tecnici di ogni tipo diranno con solerte celerità che è tutto documentato, che è tutto già disposto dopo attente valutazioni e studi specifici. Che l’instabilità delle piante doveva prevenire l’ipotesi tragica e tremenda di una morte di un ipotetico passante per l’eventuale caduta di una delle piante; perché la sicurezza prima di ogni cosa.

Per carità, fosse mai.
Ho letto le delibere, lo studio, le ordinanze.
Ma me ne frego.

È tutto illusorio, sbagliato, ipocrita e allo stesso tempo arrogante questo modo di pensare.

Certo che la cura e la manutenzione e la sana prevenzione delle Fonti del Clitunno sono importanti, ma un intervento così pesante, invasivo e soprattutto non graduale è perfettamente figlio della mentalità di questa epoca.

Cresci all’ombra di alti alberi, ti rinfreschi sotto di loro e li vedi tingersi di colori diversi con l’alternarsi delle stagioni, ne ami la poesia, il dorato splendore che attenuava le brutture del mondo e poi in pochi giorni non ci sono più.

Perché?
Perché è conseguente all’eccesso di medicalizzazione, a questa feroce volontà di sterilizzazione di ogni aspetto che sfugge al controllo che questo tempo rincorre.

Dalle malattie, alla natura, fino alla società.
Sotto ogni punto di vista, ci si muove alla ricerca solo del cosiddetto rischio zero, che applicato alla realtà ontologicamente pericolosa significa nel concreto pervertire e deviare la vita.

“Ma Yuri, preferisci difendere la poesia e la bellezza piuttosto di prevenire un ramo che cade sulla tua testa?!”

“Sì. Non sono un tecnico, me ne frego dei tecnici, sento però che per me è troppo. Vorrei poter dire basta.”

Troppo, perché significa dimenticare una semplice, banale e potente verità: che vivere, in generale, vuol dire essere in pericolo.

Ed è sempre stata questa costante “precarietà” esistenziale a generare la bellezza, la poesia, la capacità di superare sé stessi lasciando un proprio dono ai posteri; invece, oggi no.

Devi prevenire la malattia, devi prevenire la caduta degli alberi, devi prevenire che gli animali facciano gli animali.
Devi prevenire l’emergere di atteggiamenti, ad esempio, eccessivamente maschili o femminili (la neutralità è quello che si vuole, il neutro). Devi prevenire l’insorgere di un pensiero critico.
Devi standardizzare le concezioni, guai a divergere.
Quello che non si piega si deve abbattere. Semplice.

“Ma che c’entra tutto questo discorso con l’abbattimento di alcune piante?”

Siamo sempre lì.
La mentalità è questa, lo scopo chiaro.
Non c’è più nulla di sacro, nulla di rispettabile.

E questo è valido per l’argomento che vi pare…

È tutto viziato dall’assenza di questa ontologica premessa.

È la postura che si ha nel pericolo, cioè nella vita, che marca la differenza, non la vita di per sé.

Qui oggi assistiamo all’ultimo esempio vicino a noi.
La fine formale di una bellezza che, per chi oggi è in vita come me, non vedrà più.

Le Fonti del Clitunno

Certo la natura rinascerà sempre, verrà anche il giorno che le fonti torneranno quel luogo primigenio dove il genius loci si ripresenterà di nuovo grande e libero alle fiere che verranno ad abbeverarsi in queste acque. E questo è un consolatorio pensiero, ma è chiaro che il luogo che ho vissuto profondamente “mio” è stato irrimediabilmente sfregiato.

Che imperdonabile peccato sfregiare qualcosa di unico e bello come le Fonti del Clitunno, per qualcosa di così illusorio come la sicurezza.

Ci sarà sempre l’ipotesi di qualcuno che cadendo si potrà rompere una gamba, quindi? Asfaltiamo tutto, e mettiamo dei binari su cui procedere in mezzo al “fu parco storico” in modo da evitare anche questa ipotesi, no?

Quello che sfugge è che la porta finale dovremmo varcarla tutti, anche i tecnici che vogliono che tutto sia sotto controllo.

Vi consiglierei almeno di essere dignitosi, non fatevi corrompere ulteriormente dalla bruttura di questo mondo.
Abbiate rispetto.
Ma non lo capirete.

So che parliamo lingue differenti,
abbiamo anime differenti
come aveva ragione quel Brasillach quando scriveva:

“Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
Per i giuramenti non mantenuti,
Per il suo abbandono e per il destino,
E per il grave fardello che grava i suoi passi.”

Certo, nelle Fonti del Clitunno si pianteranno nuovi alberi e spero che i miei figli li potranno vedere, e innamorarsene come li amavo io.

Non voglio arrendermi al vostro nichilismo.
Ma fin quando il mondo lo plasmerete con queste idee la sofferenza sarà sempre troppa.