L’America è qui. Siamo soltanto diventati troppo ciechi per rendercene conto.
L’America è qui. Siamo soltanto diventati troppo ciechi per rendercene conto.

L’America è qui. Siamo soltanto diventati troppo ciechi per rendercene conto.

Di Alex F.

«We are all living in Amerika/ Coca-Cola, sometimes war» cantavano nel 2004 i Rammstein, tra le poche band europee a mantenere alto il loro orgoglio nell’appartenere alla cultura tedesca, cantando quasi esclusivamente in lingua madre (scelta che ha comportato non pochi problemi, tra accuse di apologia del nazismo e persino un arresto, proprio in territorio americano). Dopo quasi vent’anni, la storia non soltanto non è cambiata, si è anche aggravata. Il virus a stelle e strisce, come mi piace denominarlo, ha ormai invaso ogni campo culturale, antropologico e societario, soffocando secoli preziosi di storia, arte, cultura, musica, letteratura, gastronomia, moda, cinema, politica, tradizione e spiritualità. E a questo omicidio astratto stiamo partecipando tutti, spesso inconsapevolmente, ogniqualvolta apriamo gli occhi e viviamo la nostra vita, distruggiamo le nostre radici semplicemente esistendo, infettandolo con le contaminazioni d’oltreoceano.

Acquistiamo decine di outfit da H&M ed Abercrombie & Fitch copiati alle influencer, giusto il tempo di una storia su Instagram o di un Tik Tok e poi via, in fondo ad un cassetto fino al decluttering previsto a fine stagione, passeggiamo per il corso con un frappuccino o un iced coffee in mano, per essere fit ci sfiniamo di jogging, running, workout, seguiamo la morning routine e la night routine a base di skincare, journaling e mindfulness, facciamo colazione con gli avocado toast, il porridge e gli smoothies, ci rifocilliamo con i Big Mac, i Whoopper, i Bucket Tender Crispy portati dai rider, scolando litri di Monster e Rockstar, poi c’è l’ora del vaping sul divano guardando una sitcom su Netflix, andiamo in visibilio per i cinecomics ed il Super Bowl, festeggiamo il Black Friday acquistando compulsivamente su Amazon, facciamo after con un drink in mano, rendiamo ogni evento che avrebbe ragione di restar privato un evento social: il wedding con tanto di proposal virale, il gender reveal party, il baby shower, il push present, persino il funerale diventa un momento da postare per aumentare i followers.

Se questa sciarada di anglicismi vi ha procurato un ancestrale prurito all’anima, provate ad analizzare la lingua parlata comunemente dalle personalità televisive e della rete in modo da rendervi conto di quanto ormai l’inglese abbia distorto e deformato la nostra amabile lingua, trasformandola in un ibrido confusionario senza identità né logica, adattissima a rappresentare quest’epoca di “carinismo” e positive vibes, ove superlativi assoluti, vezzeggiativi e abbondanza di “wow” e “super” regnano indisturbati a ricordarci le pareti di bambagia di questa campana gigante in cui ormai abbiamo relegato le nuove generazioni. È agli States che dobbiamo quest’inversione di rotta, che a lungo andare ci sta trasformando in un riflesso sbiadito di un paese privo di valori, senza storia, senza radici. Un paese in cui distruggere intere popolazioni, le loro tradizioni e le loro culture viene addirittura celebrato come festa nazionale il 12 ottobre.

Un popolo nascosto dietro una facciata di moralismi e buoncostume che inveisce contro la “pornografia” delle opere d’arte e dello spettacolo ma che non si fa scrupoli a rinunciare alla libertà di possedere un’arma e che vede le scuole come luogo più probabile ove perdere la vita e che non si è mai davvero preoccupata del malessere giovanile, del bullismo e dei massacri scolastici, contraddizione se si pensa che fino a ventun anni è vietato il consumo di alcolici. Una terra che considera la guerra come fonte di guadagno e male necessario a fin di bene, come le bugie bianche che raccontavamo a scuola, ma se è un presidente rosso e non blu a scatenare l’esercito e mietere vite innocenti allora che non se ne parli, per non incorrere all’accusa di essere right-winged.

La Nazione dove la contraccezione è un optional e le minorenni in gravidanza vengono viste come delle star, al punto da dedicar loro programmi in televisione, perché l’aborto è omicidio, le coppie dello stesso sesso sono condannate a bruciare tra le fiamme dell’inferno, Dio ti osserva continuamente tranne quando premi il grilletto o condividi materiale illegale riguardante minori. Vietato offendere qualcuno per l’aspetto fisico, ma solo se è di sinistra, per tutti gli altri il body-shaming si trasforma in black humor e se ti offendi il problema è solo tuo. L’America che piange disperata coloro che perirono nella tragedia dell’undici settembre, ma che celebra i Marines e le loro mani sporche di sangue, additandoli come “eroi”, il culto della Polizia violenta da sempre che diventa un problema solo quando a morire non è un bianco.

La culla delle baby star della Disney dal viso pulito e soprattutto abituate a sorridere mentre entrano ed escono dalle comunità, proprio la stessa casa di produzione che nella sua piattaforma inserisce un avviso per “contenuti

razzisti” prima di classici che tutti abbiamo riguardato allo sfinimento da bambini come Peter Pan, Dumbo, Gli Aristogatti e Il Libro Della Giungla e che nel nome del politicamente corretto e della parola più in voga degli anni Venti del Duemila, inclusività, cambia il colore della pelle delle principesse e delle fate, non importa se la storia è ambientata in Danimarca. L’America del mito di Hollywood e del suo regno dorato, ma guai che si

esprima un’opinione che non vada alla massa, per non incorrere nel rischio di finire cancelled. Una società dominata dal #metoo, la caccia alle streghe che si trasforma in caccia agli abusers, che fomenta l’odio delle femministe più estreme per tutto ciò che concerne il mondo maschile e che viene puntualmente diretto e scaricato come fosse il caricatore di una pistola e poco importa se alla fine il malcapitato si dimostra innocente, verrà marchiato a vita come nemico delle donne.

E se l’unico baluardo di questo buco nero sembra essere la grande tradizione letteraria, essa tra le nuove generazioni è stata letteralmente spazzata via da uno stuolo di nuovi generi in cui i non-valori vengono amplificati e romanticizzati, che vanno a sostituire i classici che lentamente vengono sottoposti ad un processo di taglia-e-cuci perché non sia mai che si possa contestualizzare e trarre un insegnamento dalla mentalità del passato, bisogna occultare e far finta che non sia mai accaduto.

Perché se questa maggior attenzione alle minoranze a primo acchito può sembrare un valore, se si riesce a leggere tra le righe ci si renderà conto di trovarsi di fronte all’ennesima ghettizzazione che trova la sua maschera in questi contentini, un ciuccio per tappare le bocche piangenti di chi si accontenta di poco e non è in grado di ragionare da solo. Da notare la moda dell’ambientalismo “comodo”, la glamourizzazione della bottiglia in acciaio e del burger di soia che rendono l’americano (e l’italiano che lo scimmiotta bellamente) quasi un paladino del pianeta. Peccato che porsi la domanda sulla provenienza dei baluardi green sia per pochi. Stiamo parlando della patria numero uno per operazioni di greenwashing, sembra quasi di sparare sulla Croce Rossa.

Curiosi, gli americani e la loro ambivalenza che tanto ci piace perché, che ci faccia soffrire ammetterlo o meno, è un disturbo di cui soffriamo anche noi ed è per quello che ci lasciamo trascinare dalla corrente senza nemmeno provare a nuotare contro, perché fondamentalmente non lo vogliamo davvero: la verità è che ci piace essere così e non vediamo davvero il motivo per cui dovremmo tornare a salvaguardare la nostra identità culturale ed il nostro patrimonio artistico. Perché così ci hanno insegnato, nazionalismo è uguale al sostenere un estremismo (e non credo di aver bisogno di specificare quale), essere orgogliosi delle proprie radici e della propria Storia è assolutamente sbagliato, a meno che non si tratti dell’Eurovision o di tifare la Nazionale ai Mondiali e agli Europei di calcio, in quel caso è assolutamente concesso essere orgogliosi della nostra bandiera e guai a voi se siete disinteressati.

Si rischia di passare per “nostalgici”, e in Italia quando si parla di nostalgia il riferimento è uno solo, ma sarebbe poi così errato? Il binarismo, per come la vedo io, ha appiattito il ragionamento, portandoci a dividere tutto in due categorie: bene e male, giusto e sbagliato, buoni e cattivi, impedendoci quindi di ragionare in maniera globale di vedere in una parte di storia definita cupa e insanguinata, tracce positive, il Secondo Dopoguerra in fondo è stato la culla del Made In Italy che ci ha trasformati in icone di stile da prendere a modello ed eravamo NOI ad ispirare gli americani e non viceversa, come si può ben notare nell’influenza che abbiamo avuto e continuiamo ad avere ed è ciò a cui dovremmo puntare. Perché che sia chiaro e limpido, una volta e per sempre: non hanno nulla da insegnarci. Credono forse di poterci insegnare come si ride, ci si veste, si mangia, si ama, si vive? Noi che siamo il simbolo della Bella Vita?

Elogiare la bellezza dei costumi e della tradizione del nostro Paese non soltanto è cosa buona e giusta, ma è cosa oltremodo necessaria per poter garantire un futuro alle nuove generazioni, per non lasciarci trascinare in questo oblio degenerante che sta appannando le coscienze, perché quando non ci sarà più nessuno a leggere

D’Annunzio, a guardare i film di Bertolucci, a commuoversi per la voce di Pavarotti, a svenire guardando un quadro di Botticelli agli Uffizi, ad incantarsi davanti alle creazioni di Valentino, a gustarsi una carbonara ed un bicchiere di rosso, ci potremo considerare ufficialmente estinti dentro, senza nessun’altra possibilità di ritorno e la colpa sarà della collettività e a batterci il petto saremo tutti. Occorre quindi liberarci dei fantasmi americani, prima di ogni cosa nella mentalità del fake until you make it, della fama ade ogni costo, delle scorciatoie come via maestra al posto di impegno e dedizione, dei valori cristiani come scudo per proteggere una mentalità ricca di discriminazioni, del tentativo di imbambolare i più giovani a colpa di trigger warning e censure affilate, gli stessi che

ormai hanno le idee talmente confuse da pranzare al fast food indossando la maglietta del Che o inneggiano al Ventennio dallo schermo di un cellulare.

Solo in seguito sarà possibile attuare il conclamato cambiamento di rotta, senza sofferenza. Scegliamo il cappuccino, la brioche, l’espresso al bar, acquistiamo capi di sartoria italiana, passeggiamo per le campagne con lo smartphone spento ed un libro in tasca, seguiamo il ciclismo, la pallavolo, mettiamo su un classico della comicità all’italiana e godiamoci una pizza a portafoglio per la strada, sosteniamo le tradizioni acquistando dagli artigiani e dai norcini mandando avanti le imprese a conduzione familiare, commoviamoci con i nostri Poeti immortali, inginocchiamoci di fronte al nostro immenso patrimonio artistico e sorridiamo, a testa alta. Non abbiamo nulla di cui vergognarci e nulla da invidiare. Viviamo da Italiani con la patria ed i secoli di storia che ci scorrono dentro e tutto andrà bene, ve lo prometto.