The Whale – Recensione del film
The Whale – Recensione del film

The Whale – Recensione del film

The whale – Darren Aronofsky

Di Matteo Pasquinelli

La recensione può contenere SPOILER sul film.

Presso la Sala Pegasus di Spoleto è stata proiettata l’ultima pellicola del regista statunitense Darren Aronofsky.

Charlie, un professore di lettere obeso che offre lezioni private da remoto comprende che, a causa delle sue condizioni di salute ormai precarie, gli rimarranno pochi giorni da vivere. Assistito dall’inseparabile amica Liz, decide di provare a riallacciare i rapporti con la figlia adolescente Ellie, abbandonata all’età di otto anni dopo essere fuggito dalla famiglia perché innamorato di un suo studente. La ragazza, interessata apparentemente più ai risparmi che all’amore del padre, si lega al giovane Thomas, volontario della chiesa New Life. Quest’ultimo sta tentando in tutti i modi di salvare l’anima disperata del professore.

L’uomo obeso si masturba al pc mentre guarda un porno omosessuale e, colto da un malore improvviso, chiede al giovane volontario, entrato per errore in casa sua, di leggergli una tesina su Moby Dick di Melville per allievargli la dipartita. L’introduzione del film, sconcertante quanto provocatoria, sembrerebbe sin da subito scaraventare il pubblico all’interno di una – ormai rara – opera genuinamente fuori dal comune, scioccante e – la speranza è sempre l’ultima a morire – significativamente e politicamente scorretta.

Purtroppo, non è così.

Il film, un indiscusso inno alla vita e alla bontà umana, non riesce a sfondare i limiti dello stereotipo. Ogni personaggio percorre il tragitto che sembrava profilarglisi dinanzi sin dall’inizio senza alcuna deviazione significativa: Charlie, buono ma esteticamente “disgustoso”, riuscirà a dimostrare che c’è altro oltre l’apparenza. Come lui, la figlia Ellie, adolescente egoista e senza sentimenti, proverà a tutti di possedere un cuore e perdonerà così il padre in fin di vita. Il cliché sembrerebbe regnare sovrano, ma per fortuna passa in secondo piano grazie ad una maestosa interpretazione di Brendan Fraser (molti lo ricorderanno per il suo ruolo da protagonista ne La mummia o per la toccante parte nella serie tv cult Scrubs), in odor di premio Oscar.

“Non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare? Le persone sono meravigliose.”

Tali parole, sussurrate da un uomo in punto di morte che ha deciso di sacrificare la propria vita perché incapace a reagire, che decide di annullarsi, di distruggersi e di violentare il proprio corpo, invitano a riflettere sul fatto che nessuno è cattivo poiché nessuno è capace di non amare. E se nessuno è capace di non amare allora non può esistere la cattiveria.

Mutatis mutandis sarà anche lecito chiedersi: esisteranno persone incapaci di non odiare? Dunque, come la cattiveria, anche la bontà cessa di esistere?

Siamo all’interno di una narrazione che non rinuncia a ripetere incessantemente che il bene e il male non esistono, in quanto l’interpretazione soggettiva di ogni atto porta a non dare un giudizio oggettivo sulla bontà o meno dell’atto stesso. Tutto ciò è il riflesso di un percorso, quello umano, che è oramai eterodiretto alla ricezione di ogni istanza del sé, dell’io soggetto, abbandonando ogni slancio morale e spirituale volto alla comprensione della realtà dei fatti, avulsa da qualsiasi opinione e credenza personale.

Ed il risultato di tale percorso non può che far sprofondare l’uomo nella solitudine, come dimostra la condizione irreversibile di Charlie, nell’atomizzazione dell’individuo ormai senza alcun riferimento valoriale – che avrebbe forse potuto salvare anche il corpo, unus con la mente – e privo della vita qualificata.

La salvezza però esiste! E si raggiunge annullando le distanze e le differenze grazie alla comprensione e, soprattutto, alla simpatia (dal greco συμπάϑεια, composta da σύν «con» e πάϑος «affezione, sentimento»), quindi, alla condivisione affettiva e comunitaria, anziché all’empatia, ovvero l’immedesimazione, un atto squisitamente individuale.

Il film è comunque risultato vincitore del Leoncino d’oro alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e la giovane giuria ha così giustificato il verdetto:

“Un’umanità strabordante, magistralmente interpretata, affronta il disperato tentativo di riscatto, tanto straziante quanto necessario. Amicizia, religione, morte e amore vengono messi in scena attraverso la tormentata ricerca della sincerità in un’atmosfera claustrofobica ispirata dall’omonima opera teatrale. Una pellicola spietata che rappresenta un accorato invito alla riconciliazione con gli altri e soprattutto con sé stessi.”