IL FALLIMENTO DELLA LOGICA DELLA COMPETIZIONE
IL FALLIMENTO DELLA LOGICA DELLA COMPETIZIONE

IL FALLIMENTO DELLA LOGICA DELLA COMPETIZIONE

 “La fame fa buono anche il ferro, anche quello delle catene” – S. Esenin

È di appena ieri mattina la notizia della ragazza trovata morta suicida presso l’Università IULM di Milano.

La giovane, secondo quanto risulta dalle prime notizie, si sarebbe impiccata con una sciarpa attorno al collo dentro un bagno dell’Ateneo; accanto al corpo sarebbe stata trovata una lunga lettera d’addio, in cui la ragazza si sarebbe scusata dei propri “fallimenti personali” e “nello studio”.

Una tragedia, ma non dettata da un disturbo mentale né – purtroppo – destinata ad essere un caso isolato, come lasciano intendere molte spettacolarizzazioni e banalizzazioni che circolano già in televisione e in rete.

Difatti, soprattutto negli ultimi tempi, ammontano ad un numero preoccupante fatti con analogie spaventose all’accaduto; solo per citare i casi più recenti:

  • Luglio 2021: venticinquenne trovato morto presso la facoltà di Lettere dell’Università Federico II di Napoli;
  • Ottobre 2021: studente fuorisede stato trovato morto a Bologna;
  • Luglio 2022: studente suicida a Pavia per l’ossessione dei voti;
  • Dicembre 2022: studente suicida a Padova per aver mentito sulla propria laurea.

Potremmo continuare pressoché all’infinito, ma sarebbero troppe righe di dolore…

Questi sono tutti casi confermati e verificali da chiunque su internet, ma chissà quanti scivolano subito nell’oblio e ne ignoriamo perfino l’esistenza.

È evidente quindi come certi casi più che tragedie isolate nel tempo sembrano invece una nuova e spaventosa costante, e la curva non intende scendere.

Ma prendiamo un po’ di dati alla mano.

La scia di episodi simili non riguarda solo il nostro Paese ma è una piaga che si sta diffondendo addirittura a livello internazionale, tanto che l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) ha dovuto iniziare un’indagine al riguardo; i risultati sono sconcertanti: il suicidio risulta una delle 4 principali cause di morte fra gli individui di età compresa tra i 15 e i 29 anni.

Ma come è possibile un fatto simile? Il suicidio è un atto socialmente condizionato, e non di piena responsabilità dell’individuo come invece la narrazione vigente tende a raccontarci.

Si pretenderebbero allora delle spiegazioni: se esso è un fatto sociale e comportamento diffuso, quali sarebbero allora le cause?

È stato rilevato da studi accademici che i maggiori fattori che aumentano il comportamento suicida sono la disperazione, lo stress e la depressione. È proprio su quest’ultima che i dati sono allarmanti: come già riportato in una nostra riflessione sulle morti sul lavoro (i link in fondo all’articolo), indagini recentissime affermano che circa l’80% dei giovani in Italia soffre di ansia o noia, e la depressione va a colpire addirittura il 13% dei giovani.

Questo fenomeno si amplifica ulteriormente presso gli studenti universitari, soggetti a continua pressione sociale per via del mito sociale dell’eccellenza, e impegnati troppo spesso in progetti, stage e studio che annientano la vita privata e lo svago; per di più, affitti alle stelle e selezioni particolarmente strette non lasciano alcuna via di scampo a chi si trova nel mezzo.

Ma come ci siamo potuti ridurre a questo? Niente spunta per puro caso, figuriamoci ciò che riguarda il comportamento umano.

Ebbene, la causa è da riscontrare niente di meno nei valori propagandati nella nostra società, ed è così che anche il nostro sistema educativo (scolastico o universitario che sia) sprofonda nel generale smarrimento culturale e civile del nostro tempo.

Di norma ogni sistema educativo risponde alle necessità di determinati progetti culturali e/o politici (come ad esempio la costruzione di un’identità nazionale), ma cosa succede quando la “politica” è completamente assoggettata a logiche economiche?

Ebbene, succede che il mondo della produzione economica pretende una formazione degli individui interamente improntata alla creazione del profitto e alla competizione economica senza freni, col fine di riuscire a scapito dell’altro.

Succede, in sintesi, che la plasmazione aziendale dell’individuo prende completamente il posto della sua formazione come persona critica, e questo con tutte le tragiche conseguenze annesse.

È legittimo chiedersi: cosa si dovrebbe fare allora, come reagire a tutto ciò?

La nostra società, la configurazione del nostro status quo, sono fondate sulla competizione, sulla lotta per il raggiungimento di un limitato numero di risorse, e questo ci spinge inevitabilmente al conflitto.

Siamo spinti all’ adesione a standard arbitrari, a parametri ideali, a modelli fantoccio di uomini e donne “realizzati”. Il possesso e lo status quo sono per noi la versione distorta di un imperativo “così deve essere”.

Nasciamo e cresciamo in un sistema votato al reciproco boicottaggio da un lato, e dall’altro che ci instrada verso un’omologazione culturale che ci impedisce la vera realizzazione di noi stessi (come individui e come gruppi sociali): rispettare le norme e gli standard del profitto non ci rende felici, e seguire le sue tabelle di marcia non ci identifica necessariamente come persone “più meritevoli”.

Le logiche sempre più stringenti dell’economia e del lavoro competitivo evadono la vera sfida dell’essere umano, e spostano l’attenzione dalla ricerca della felicità al mezzo per il raggiungimento di questa.

Chi trascorre ore interminabili sui treni per raggiungere un posto di lavoro un minimo dignitoso dall’altra parte dello Stato viene glorificato, ma nessuno si pone il problema di come ciò non dovrebbe neanche nascere alla radice.

Noi di Argo vogliamo dire una cosa a tutti i giovani: non siamo numeri, non siamo matricole, non siamo dispensatori di esami né tantomeno delle macchine, e non siamo voti.

Dobbiamo prendere consapevolezza che la strada per la realizzazione di se stessi intesa solo come successo economico  è una concezione totalmente sbagliata: valiamo più di qualche credito, e al concetto di competizione contro l’altro dobbiamo sostituireil concetto di areté greca intesa come dovere nei confronti di sé stessi per migliorarsi.

Ci vorrebbe un altro modello di società, in cui chi vuole studiare deve essere messo in condizione di poterlo fare serenamente, come chi lavora deve essere messo in condizione di non finire ancora nel 2023 schiacciato da una macchina. Le istituzioni pubbliche che avrebbero dovuto difenderci dal virus del profitto e dell’individualismo ci hanno invece completamente consegnato nella mani dei grandi privati che promuovono certe logiche.

E allora, ribadiamo tutti insieme la vera funzione del pubblico, costruiamo partendo ciascuno da se stesso degli individui dalla mente critica, rendiamoci produttori di contenuti e non vuoti contenitori di nozioni, promuoviamo un modello di società dove la vita sia realmente dignitosa.

In sintesi, riaffermiamo ancora una volta il diritto dell’Uomo sulla Macchina e sull’ Ingiustizia, il suo diritto ad una Vita libera dalle costrizioni del profitto.