DOMENIQUE DE ROUX
DOMENIQUE DE ROUX

DOMENIQUE DE ROUX

Uno dei più atipici ed iperattivi intellettuali del dopoguerra francese

Di: Francesco Subiaco

Irriverente, corrosivo, tra anarchia e aristocrazia. Libero dalle etichette del suo tempo, irregolare, acido e corrosivo. È Domenique De Roux, uno dei più atipici ed iperattivi intellettuali del dopoguerra francese.

Animatore di atmosfere culturali, polemista irrevocabile, voce critica del suo tempo. tagliente e cinico come Kraus, iperattivo e “sott’odio” come Longanesi, di cui è stato l’equivalente nella cultura francese, per l’attività editoriale ed il genio aforistico. Che con il suo Immediatamente (MIRAGGI), ha saputo scioccare la critica ufficiale ed egemone. Raccolta di aforismi, subconscio in frammenti, diario degli orrori, immediatamente è stato tutto questo. Dall’acuto registro degli incontri e delle apparizioni del meglio della cultura del secondo novecento, a valvola di sfogo di una ferocia acuta e profondissima. In cui sono tratteggiati gli incontri con gli amici e i miti di De roux, da Pound a Gombrowicz, da Artaud a Celine.

Un libro maledetto che condannò il suo autore all’esilio volontario e necessario in Portogallo, attirandosi gli odi del governo, di Pompidou, dei maggiori intellettuali ed accademici francesi, Barthes sopra a tutti, diventando un autoritratto contro della cultura francese del dopoguerra. Ricco di giudizi taglienti sul languore della religione(“tra poco il cattolicesimo come il protestantesimo servirà solo a seppellire i morti”), sugli intellettuali (che “non hanno mai smesso di attraversare le gerarchie), sul sessantotto, che come nella Cina di Mao confonde la guerra civile con la rivoluzione culturale. Controcorrente, con uno spirito corrosivo e metafisico, quindi “per natura reazionario”, che nonostante l’adesione al gollismo restò sempre un vinto nello spirito e nell’indole. Alternativo ai suoi contemporanei in quanto “la crisi dell’intelligenza deriva dal fatto di definirsi con le parole quando ci si può definire solo con le azioni”. Grande agitatore culturale, diffuse e approfondì l’opera di Pound, nella cui Venezia tutto portava il suo sguardo, i capolavori di Gombrowicz, gli enigmi e i labirinti di Borges. Scrivendo uno dei più bei saggi su Celine alla vigilia della sua morte, difendendo una idea di cultura e letteratura lontana dall’engagement ufficiale. In continuità con una visione antimoderna, perché “essere moderni vuol dire cedere alle circostanze”, che guardando all’euforia del progresso per lo sbarco sulla luna, pensa che tutto sommato la chiesa più reazionaria non avesse tutti i torti sulle illusioni degli uomini.

Notando che l’America, che “sta alla biosfera come il cancro al corpo umano”, è il simbolo non della crisi della civiltà, ma “della crisi della barbarie, che prima mettevano a ferro e fuoco Roma o Bisanzio ed ora sono i malnutriti del mondo moderno”. Che per il suo pensiero irriverente fu accusato di fascismo ingiustamente e decise provocatoriamente di presentarsi come “Domenique de Roux, già impiccato a Norimberga”. Il quale di fronte al lutto per la morte di Celan ha convenuto rispetto all’ipocrisia generale, che Celan si è suicidato nella Senna perché ignorava da sciocco che fosse una “fogna e non un fiume”, ma proprio per questo è tanto autore e poeta, poiché “solo i poeti possono ancora credere che nel mondo ci siano ancora fiumi”. Con uno sguardo magnetico sulle cose e sulla storia, per cui la “rivoluzione francese è stata lo Shakespeare della Storia, ma scritto da Dio”. Un autore irriverente ed unico, stroncato a poco più di quaranta anni da un malattia cardiaca, che ha pagato per quello che ha pensato ed ha pensato per quello che doveva scontare. Che coltivava il piacere “aristocratico di non piacere a tutti” inginocchiandosi solo a se stesso come ci si inginocchia ai santi. Esiliato in Portogallo dove fu l’unico testimone francese della rivoluzione dei garofani, che sognava una cultura alternativa e ribelle, mostrando il fascino crudele della schiettezza e l’acume delicato della profondità. Che molto spesso ha preso congedo, ma non va congedato da un pantheon che molte volte perdona la cattiva scrittura in nome della cattiva politica e che ora non dovrebbe indugiare nel riconoscere immediatamente il genio di un autore samizdat, proibito, imperdonabile.