Orban, quel «liberale, europeista, anticomunista» che piaceva a liberali e radicali italiani
Orban, quel «liberale, europeista, anticomunista» che piaceva a liberali e radicali italiani

Orban, quel «liberale, europeista, anticomunista» che piaceva a liberali e radicali italiani

Di Marco Piccinelli

L’ascolto di Radio radicale fornisce (almeno a chi scrive) numerosissimi stimoli per dibattiti e riflessioni riguardo quello che pensa un’area politica e culturale sideralmente distante dalla propria. È un modo per corroborare le proprie credenze a partire da alcune che si ritengono lontane, distanti, fallaci.

Ho iniziato ad ascoltarla una mattina di dicembre del 2011, cominciando con “Stampa e Regime” di Massimo Bordin, finendo per sciropparmi le interminabili conversazioni di Marco Pannella la domenica pomeriggio.

Seguivo la trasmissione la domenica pomeriggio (o in replica il giorno dopo) più per gli scleri che potevano intercorrere tra Pannella e Bordin che per le tematiche in sé (qui, a partire 1:27:00, il fenomenale litigio fra il povero Bordin e Pannella che sancì formalmente il divorzio politico tra lui e la Bonino, da sentire in loop anche per l’ilarità delle espressioni basite e ignare di Bordin nel corso del diverbio).

Piccola (noiosa) premessa da fare a monte

Da qualche tempo l’area radicale è divisa in vari tronconi: se volessi descriverli con categorie politiche direi “da una parte i radicali italiani, dall’altra i trasnazionali”, in realtà da una parte c’è l’area della Bonino (Radicali Italiani/+Europa) e dall’altra quella ex-pannelliana (PRNTT – Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito). Tra PRNTT e Radicali Italiani i rapporti iniziano ad incrinarsi inizialmente quando cessa la struttura della “galassia radicale” che teneva insieme vari soggetti (Radicali Italiani, Ass. Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia, Nessuno Tocchi Caino etc etc). La situazione precipita a partire dal 2015, fino ad arrivare agli inizi di settembre 2016 quando i transnazionali organizzano un congresso straordinario a Rebibbia (1-3 settembre 2016): il gruppo Turco-Bernardini (la destra del partito?) propone una mozione che risulta vincitrice al termine dell’assemblea mentre il gruppo Staderini-Cappato-Magi (la sinistra del partito?) viene sconfitto, pur per pochi voti. (In realtà, trattasi di due destre di partito ad eccezion fatta per qualche posizione di Staderini, quando era segretario di Radicali Italiani insieme a De Lucia, tesoriere: la sua segreteria fu di sinistra liberale, come ripeteva spesso nel corso degli interventi).

A seguito della vittoria di Turco-Bernardini si è aperta una fase di transizione che deve portare l’organizzazione al raggiungimento di 6.000 iscritti in due anni, 3.000 più 1 (simbolicamente) all’anno, pena lo scioglimento del Partito. Radio Radicale, supportando tale iniziativa, ospita la trasmissione denominata “Quota 3.001” da quasi 24 mesi. La puntata di del 28 agosto aveva come ospite Maurizio Turco, Coordinatore della Presidenza del PRNTT e l’argomento principale era la conferenza stampa che si sarebbe tenuta di lì a poco tra il Ministro dell’interno Matteo Salvini e il Primo Ministro Ungherese Victor Orban.

Orban, il giovane liberale, democratico e anticomunista

Un passaggio di quanto dice Maurizio Turco nell’ambito della trasmissione “Quota 3.001” è centrale (da 3:40):

«Orban lo conosciamo molto bene perché in Ungheria, a cavallo della caduta del Muro di Berlino, producemmo un grande investimento [come Partito] nei paesi dell’est: lì [in Ungheria ndr] c’era Massimo Lensi che governava la situazione. Uno degli interlocutori della futura Ungheria europea, democratica, liberale, era proprio Victor Orban perché era il leader dei giovani liberali ungheresi anticomunisti [la federazione giovanile del vecchio Partito Liberale, il cui nome è una specie di scioglilingua SZDSZ ndr]. […] Fu uno dei punti centrali dell’iniziativa del PRNTT nei confronti dei paesi dell’Est dove investimmo, ci furono persone – coordinate da Olivier Dupuis, il quale era il segretario del Partito – che partirono da Roma per aprire delle sedi, per cercare di dare una mano per la costruzione di un futuro diverso da quello che, era inevitabile, avrebbero costruito sulla base dei loro partiti di riferimento: non dobbiamo dimenticare che la Lega fa parte di un gruppo parlamentare europeo euroscettico mentre il partito di Orban del PPE (Partito Popolare Europeo).

È l’espressione più vera di quell’europeismo che ha tradito l’opera dei “padri fondatori”: sono dei popolari europei abusivi [il riferimento è al PPE ndr], dei liberali europei non ne parliamo proprio [il riferimento è all’ALDE ndr]».

L’espressione padri fondatori si riferisce a Spinelli e Rossi, citati successivamente dallo stesso Turco, solo che – e non stancherò mai di dirlo – questi tempi disgraziati fanno sì che del «Manifesto di Ventotene» venga sistematicamente scartato l’ultimo capitolo “Politica federalista e politica marxista”. Non è il mio testo di riferimento, ovviamente, ma se lo si leggesse integralmente, forse, si capirebbe che le menate  dei liberali, liberisti, europeisti (etc) hanno davvero una scarsissima base d’appoggio sul testo spinelliano.

Anche Guy Verhofstadt, comunque, in uno dei tanti interventi al Parlamento Europeo diretti al Primo Ministro ungherese, pare rimanerci molto male riguardo al voltafaccia di Orban in seno all’area liberale, come dire: d’accordo che sei il primo ministro, ma non t’azzardà a prenderti l’establishment, quella è rob(b)a nostra. Anticipando, tra l’altro, una citazione che seguirà qui.

Ma torniamo a noi: l’investimento.

Un investimento che, pare di capire, è stato tanto economico («aprimmo delle sedi») quanto umano («ci furono persone che partirono per andare in Ungheria»): col senno di poi sarebbe da dire ‘bell’affare che avete fatto: complimentoni’, salvo poi lo stesso scagliarsi contro Orban in una sterile polemica nell’alveo liberal-europeista. Alla faccia di chi dice che i litigiosi sono solo quelli della sinistra marxista o socialdemocratica irridendone le posizioni per la loro antistoricità non si sa bene su quale base. La polemica di Turco è esacerbata dalle sue stesse prese di posizione: «noi vogliamo gli Stati uniti d’Europa [come sancito dalla mozione di Rebibbia], l’UE sta cercando di tenere insieme qualcosa che non si tiene più».

Sarebbe interessante sapere, capire, conoscere, giornalisticamente e politicamente parlando, avvalendosi proprio del diritto umano alla conoscenza, cioè di quello che sta iniziando a codificare il PRNTT stesso dagli ultimi mesi di vita di Pannella, seguendo l’esempio della Commissione Chilcot per quel che riguarda la guerra in Iraq.

Sarebbe interessante sapere come venne finanziata l’attività del PRNTT e la conseguente apertura delle sedi: «aprimmo delle sedi nel Paese, insieme ad Olivier Dupuis che andò lì a fare attività politica».

Forse il «New York Times» fornisce una parziale risposta agli interrogativi che sorgono a seguito dell’ascolto di Turco. In un articolo del 6 aprile 2018, infatti, Patrick Kingsley scrive:

«Durante gli ultimi giorni del comunismo in Ungheria, un giovane dissidente liberale scrisse a una fondazione gestita dal filantropo ungherese-americano George Soros, chiedendo una sovvenzione per finanziare la sua ricerca sulla democrazia di base. L’Ungheria avrebbe attraversato presto una “transizione dalla dittatura alla democrazia”, ha scritto lo studente nel 1988. “Uno degli elementi principali di questa transizione può essere la rinascita della società civile”. Lo studente era Victor Orban».

Lo stesso Kingsley, in ogni caso, arriva alle stesse conclusioni di Turco, affermando come il Primo Ministro ungherese sia diventato «il flagello della società civile occidentale (e di Mr. Soros) (!!)». 

Vabbè.

Il capitale, ad ogni modo, agisce sempre e comunque con lucida razionalità e spietatezza: in questa fase vasti settori del capitalismo nazionale e delle élites transnazionali vedono di buon occhio il cosiddetto “sovranismo nazionalista”, lasciando orfane di appoggio intere schiere di lib-dem europei che si ritrovano senza gli appigli precedenti. La destabilizzazione che potrebbero portare costoro non infierirebbe sui mercati, di cui tanto (straparlano) i quotidiani italiani ed europei: alcune Costituzioni post-belliche sono troppo socialiste, come scrisse l’agenzia di rating JP Morgan, dunque ecco che alcuni settori del capitale transnazionale (Domenico Moro docet) si muovono per far fronte in tal senso e destrutturare pian piano quelle impalcature, direttamente o indirettamente. È significativo, poi, continuare a  constatare (anche col senno di poi) che le forze liberal democratiche condannino ancora oggi metodi stalinistisovieticirepressividittatoriali operando con azioni del tutto poco chiare e decisamente torbide per rovesciare un sistema, quale che sia, provocando danni irreparabili non meno imponenti di quelli che loro stessi condannavano.

Ecco spiegato il risentimento dei gruppi liberali nei confronti del fascista Orban, ma resta il fatto, del tutto interessantissimo, dell’appoggio radicale e dell’investimento in Ungheria.

(https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2018/08/orban-quel-liberale-europeista.html)