UOMO E NATURA
UOMO E NATURA

UOMO E NATURA

Di: Giulia Constantini

Un pensiero sul rapporto tra l’uomo e la natura

La percezione del tempo sfuma molto rapidamente, quando tutta la luce è artificiale e il caldo e il freddo sono costantemente tenuti a bada. La lunghezza delle giornate non ci riguarda, non fa parte delle nostre vite. I suoni, gli odori, le occupazioni non cambiano, non cambia quasi niente, tra marzo e dicembre.
E’ logico, naturale, diremmo ragionevole. Non è essenziale alla nostra quotidianità saper riconoscere le impronte o le foglie, e non è neanche interessante, per i nostri neuroni che si sono sviluppati in un ambiente diverso, quindi perché perderci tempo?

Ma è un sintomo insidioso di un equilibrio che si sta rompendo, anzi, si è già rotto.
Il nostro orologio fuori sincrono, privandoci della capacità di ascoltare, ci taglia fuori da ogni dialogo, ci esclude dalla possibilità di essere tutt’uno con il resto. Il progresso, il più moderno degli idoli, può assecondare ogni nostro capriccio, ma la Natura è necessità, intesa nell’accezione di “cosa che non può essere diversamente”. I ritmi della natura ci insegnano ad affrontare la notte e rinascere con il Sole, e per quanto sembri paradossale, ci mantengono attaccati alla terra. Sono la cosa più concreta che abbiamo, il retaggio di quando ci sporcavamo le mani e lottavamo ogni giorno per il nostro posto, di quando vivevamo insieme alla terra.

Davanti all’illusione di un’umanità onnipotente, di un potere che non accetta ordini neanche dalla realtà dei fatti, è indispensabile porsi una domanda: quanto può durare?
Perché se capissimo che tutto, da sempre, cresce interconnesso, che ogni organismo prende per ridare, ci renderemmo conto dell’enorme debito che stiamo accumulando.

Abbiamo trasformato più del 50% degli ambienti, la foresta amazzonica si riduce di 8000 chilometri quadrati l’anno, le risorse della Terra non possono sostenere sette miliardi di umani che estraggono, trasformano, producono ed esportano a ritmi sfrenati per guadagnare, anziché limitarsi a soddisfare le proprie necessità. Se risulta ancora difficile da capire, provate per un po’ a fare a meno delle api, o dei batteri che fissano l’azoto. Provate per un paio di giorni a respirare senza alberi e poi fatemi risapere.

Questo stile di vita esasperante, questa sovrabbondanza di beni inutili e scadenti, di scelte insignificanti, ci tolgono la sobrietà, la linearità armoniosa dell’antico. In  un certo senso, ne va del nostro buon gusto.
Scriveva Thoreau:
Sarebbe bene che passassimo la maggior parte dei nostri giorni e delle nostre notti senza alcun diaframma tra noi e le stelle, e che il poeta non parlasse e il santo non abitasse tanto a lungo sotto un tetto, perché gli uccelli non cantano nelle caverne, né le colombe nutrono la loro innocenza nelle colombaie.”


Questo vetro messo a proteggerci dal mondo ci impedisce di cogliere la musica, l’essenza, lo spirito delle cose, di cui vediamo solo i contorni, in due dimensioni. E che dire del poeta rinchiuso nella caverna? Può essere valida l’arte di una razza che non percepisce più con i propri occhi la bellezza vera, quella che annienta e impietrisce, quella che fa paura perché è aliena, fuori dall’uomo? Vivere tra cemento e luci a LED uccide la bellezza.

Un commento

  1. Pier Luigi Luigi Molle

    Per la Legge di causa-effetto, quello che scelleratamente stiamo facendo ci tornerà indietro, ed anzi lo sta già facendo. La Natura si basa su un delicatissimo equilibro, come giustamente evidenziato nell’articolo, che noi stiamo seriamente compromettendo, ma che ha anche gli anticorpi per reagire, sia in piccola che grande scala. L’Homo Tecnologicus (mi si perdoni il termine) è come un germe patogeno in un organismo sano, che però non può morire, almeno nella nostra scala temporale.

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