IL SOLDATO DI VENTURA
IL SOLDATO DI VENTURA

IL SOLDATO DI VENTURA

Di: Edoardo Nasini

Per un elogio dell’avventura

In un’epoca come la nostra, ai limiti della fantascienza, in cui le intelligenze artificiali si fanno sempre più intelligenti e sempre meno artificiali, come possiamo interpretare il concetto di Avventura?
Desideriamo visitare un determinato luogo?

Una rapida occhiata ad un motore di ricerca ed eccoci svelati tutti i più piccoli segreti del posto. Tutto è alla nostra portata, tutto è dentro i nostri dispositivi, così vicino eppure irrimediabilmente oppresso da questa impertinentissima tendenza, fortemente sbagliata, che porta a svalutare qualsiasi approccio naturale, vivo, reale con quello che ci circonda. Eppure, se c’è qualcosa di insito nell’uomo, di puro, questo senz’altro dev’essere lo spirito di scoperta.
Quello spirito che ha portato persone comuni a solcare mari in tempesta, che le ha trascinate lungo continenti sconosciuti, fino ad arrivare, con fiero slancio, a percorrere l’ignota strada alle stelle.
Se c’è qualcosa di veramente giusto nell’essere umano, che sia questa la voglia di scoprire.

Arruolati, dicevano, girerai il mondo, dicevano” frase iconica rintracciabile in moltissime pellicole e letture a tema bellico, tanto semplice quanto realistica.
Il soldato viaggia, sorretto dalle gambe e col moschetto in spalla, viaggia solitario eppure parte di un qualcosa di immenso.
E se un soldato, un servitore della propria patria viaggia in lungo e in largo, quanto può essere esteso l’orizzonte raggiungibile di chi, per le ragioni più disparate e spesso e volentieri anche meno condivisibili, si prende carico dei conflitti altrui?

Mercenario, soldato di ventura, prezzolato battagliero.
Non a caso tra i tanti sinonimi, il mercenario viene definito un “Avventuriero”.
Se spesso la ragione per cui tanti uomini, dall’alba dei tempi, hanno intrapreso il lastricato cammino della ‘’guerra a pagamento’’ era proprio il denaro, di contro molti di questi partivano per il semplice gusto di dare battaglia in luoghi remoti, di fuggire, di esplorare. Inutile citare tutti i grandi personaggi che, nella storia, hanno intrapreso questa scomoda strada.
Annibale Barca, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni o ancora il nostrissimo Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi, troppe volte svilito e considerato un semplice soldato a pagamento.

Per molti di loro, l’avventura restava una vocazione, un’innata sensibilità all’esplorazione, non certo riconducibile ad una semplice sete di denaro. Viaggiare, ritrovarsi dispersi in qualche paese lontano, nei deserti del Nord Africa o nelle umide foreste dell’Indocina, in tutto questo l’evidente carica romantica, poetica non può certo passare inosservata, non può non scuoterci, non scalfire la nostra impermeabilità, purtroppo involontariamente acquisita, alla fascinazione dell’avventura.
E che tutto questo sia ora una metafora. Lasciare una società che ci opprime, che pone freni alle masse.
Lanciare un grido, forte e impetuoso, che no, questo regno corrotto non ci avrà, perlomeno non così facilmente.

Che soprattutto la nostra sete di scoperta, di conoscenza, ramificata in ogni piccolo anfratto della cultura, prenda finalmente il sopravvento sulle nostre coscienze assopite, stordite dall’etere della rampante semplicità dell’uomo moderno. E che, adesso non più imbracciando un fucile ma brandendo la nostra sciabola fatta di sapere, si proceda verso quegli anelati orizzonti sconosciuti, senza più alcuna paura.