GLI DEI SE NE VANNO D’ANNUNZIO RESTA
GLI DEI SE NE VANNO D’ANNUNZIO RESTA

GLI DEI SE NE VANNO D’ANNUNZIO RESTA

Di: Francesco Subiaco

“Alle ombre beffarde di Casanova e Cagliostro

È dedicato a due arciitaliani il ritratto più personale e atipico del vate. Del resto D’Annunzio possedeva di entrambi l’indole del seduttore, dell’affabulatore. Del genio domestico dei salotti raffinati e dell’avventuriero seduttore ed eroico, dell’uomo del segreto e del palcoscenico. Perché l’autore de “il piacere” come Casanova e Cagliostro è un cultore della forma, della posa, dell’egotismo. Dell’esibizione per l’esibizione, del desiderio vampiri stico dell’altro sesso come ricerca della musa, dell’originalità, del pubblico. Come lo erano le conoscenze per il veneziano e l’esoterismo per l’alchimista. Il comandante dell’impresa fiumana è un caleidoscopio di temi, di riferimenti, di stili, che si intrecciano formando una opera d’arte della sua figura. Creando il salottiero e il nazionalista, l’amante e il guerriero. Molti dei suoi detrattori, chi per invidia chi per arroganza, lo hanno liquidato troppo frettolosamente. Parlare solo della retorica, o della politica, o farne un clone di Huysman, sono delle generalizzazioni assurde. Del resto i suoi adulatori ne hanno spesso attirato più che gli amori gli odi. Conoscere il Vate, vuol dire conoscere l’autobiografia di un’epoca, di una nazione, di un tipo di predisposizione dell’animo umano. Ciò è impossibile senza aver letto “D’Annunzio Intimo” di F.T. Marinetti ( edito da ASPIS edizioni). Non si può conoscere D’Annunzio senza conoscere il suo rapporto con le avanguardie, col futurismo, con la politica, con la sua terra. In questa opera curata da Guido Andrea Patrasso e tradotta da Camilla Scarpa, si ricostruisce il rapporto tra il Vate e il futurismo, correlato di un’opera, scritta in francese, in cui Marinetti presentava tramite una raccolta di elzeviri il padre del panismo al pubblico d’oltralpe. È un D’Annunzio campione di passatismo, più seduttore che conquistatore, più amante guerriero che condottiero plutarchesco. Che si illude di poter cambiare il mondo con la letteratura, con la parola. Attraverso la raffinatezza raggiungere il cuore delle masse e varcare affascinanti, quanto improbabili, traguardi politici. Che all’immagine di rivoluzionario seduttore sostituisce quella del dandy che trova nella gloria la peggiore forma di incomprensione. Che cerca di farsi la voce della nuova Italia del secolo dopo la morte dei grandi Dei. Gli dei che se ne vanno, che danno il nome alla raccolta di testi,sono Verdi e Carducci, i cui funerali aprono il novecento e sanciscono la crisi degli ideali risorgimentali, della figura di vati della terza Italia, di divinità del Risorgimento. L’autore del trionfo della morte non è per Marinetti un dio, ma più che altro un idolo del crepuscolo, a cui vuole contrapporre una nuove religione letteraria: il futurismo. I futuristi saranno i cantori nazionali e rivoluzionari di una patria illuminata dalla lanterna della tecnica e del progresso, non dal tramonto della luna del decadentismo. Al di là delle critiche e delle differenze, tra Marinetti e il Vate ci fu sempre un rapporto di stima e ammirazione, condita di odio e repulsione. Ciò non impedì il cantore della città che sale di ammirare la grandezza del poeta della Roma del grigio diluvio democratico odierno.

In D’Annunzio intimo, Marinetti restituisce al lettore l’immagine vetusta ed affascinante di un intellettuale complesso e contraddittorio, illuso e disincantato, che abbandonati i numi del risorgimento è restato il protagonista di un’epoca complessa e poliedrica, a cui concede l’onore delle armi e il fascino del genio.