CONTRO LE SUPERSTIZIONI POLITICHE
CONTRO LE SUPERSTIZIONI POLITICHE

CONTRO LE SUPERSTIZIONI POLITICHE

Di: Francesco Subiaco

Herbert Spencer e il suo “L’Uomo contro lo stato”

Il nostro secolo è iniziato come il secolo delle religioni delle lacrime. Ovvero di quelle visioni della vita consolatorie e piacevoli, che rallegrano l’uomo illudendolo di utopie rosee, di sorti infinite e progressive che mai si compiono e menomale, poiché nulla è più terribile e deleterio delle preghiere esaudite degli idealisti. Soprattutto in italia quel secolo sconfinato, sequel malriuscito del secolo breve, è iniziato nel 1989 con
profezie nefaste che hanno avuto un unico obiettivo: la disgregazione degli apparati nazionali e l’oppressione verso il singolo. Lo stato svilito dei suoi compiti tradizionali si è visto sub alternare la difesa delle libertà individuali in nome di crociate umanitarie, di alti fini morali, della volontà generale, delle influenze esterne. Possono essere un esempio le crociate giustizialiste, i movimenti moralizzatori, gli assistenzialismi pazzi, l’apertura dei mercati a potenze che giocano la loro partita con mazzi truccati, fino alle ultime esigenze sanitarie. Occorre rileggere Herbert Spencer e il suo “L’Uomo contro lo stato”( edito da LIBERILIBRI).
Evoluzionista, liberale, elitario, feroce nei suoi giudizi e nelle sue idee. Spencer è un personaggio particolare ed atipico, eterodosso rispetto ad un background comunitari sta, repubblicano e socialdemocratico, ma
anche poco a suo agio negli ambienti del globalismo, del liberalismo sociale, che probabilmente avrebbe descritto come liberalismo con sensi di colpa, per le sue posizioni austere, per le accuse infondate di darwinismo sociale. Che ha una visione netta di una società individualista, con uno stato garante, molto simile ai pensatori austriaci. Un autore che parla di poveri produttivi e improduttivi, con una visione del mercato come estensione del dominio della lotta, che potrebbe far storcere il naso a molti. Ma Spencer per essere apprezzato non ha bisogno di una platea di soli liberali. Potremmo dire che egli fa parte di quella scuola di maestri irregolari, sospettosi verso le mistificazioni consolatorie dell’ottocento a cui oppone la lotta alla fuga della realtà, l’accettazione e la partecipazione ad una società dinamica. Una società di individui, non di consumatori o elettori. Che crede che la funzione delle idee sia quella di reagire alle superstizioni politiche. Ovvero quelle visioni fideistiche che creano fenomeni collettivi mostruosi che in nomi di alti fini compiono le più immonde violazioni. Questi demoni del bene che confondono la giustizia con l’inquisizione, l’informazione con la chiacchiera, l’ingiustizia politica con la giustizia sociale. Una superstizione che deve portare gli individui a riflettere sulle violazioni dei propri diritti per alti capi, in fondo un tempo il compito della filosofia era mettere in discussione il diritto divino dei tiranni, poi quello dei parlamenti, ora quello dei comitati e delle istituzioni che si fanno sempre più sistema. Cercando di capire quando si supera il confine della ragion di stato e quando si applica invece la ragione di sistema. Un libro spietato che fece innamorare Borges e Kipling. Puntando l’attenzione sui crimini dei legislatori che vengono sempre troppo poco giudicati per i propri crimini ideologici(quando invece si preferisce fare tale processo ai poeti), sul considerare il consenso non una buona ragione per commettere crimini e nemmeno usare la paura e il bene come paraocchi per coprire lo spettacolo dell’interesse. Leggere l’uomo contro lo stato è leggere un Darwinista anomalo, antiimperialista, anti idealista, anticolonialista ed antirazzista. Con una visione ferrea e spesso non condivisibile, ma sicuramente necessaria per puntare il dito contro le utopie, le menzogne dei buoni. Perché il grande merito di Spencer è farci guardare ai fatti non con con gli specchi delle intenzioni, ma con le lenti delle azioni. Che ci fanno vedere, come diceva Mencken, che tra una zuppa di rose e una di patate, sicuramente la rosa benché più bella, consolatoria en romantica, non è più buona.