I sani che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe
I sani che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe

I sani che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe

Di Maria Antonova

Sono proprio i cosiddetti “sani”, moralmente corretti, obbedienti, vaccinati, pacifisti da tastiera e decostruiti ad aver portato il mondo sull’orlo della catastrofe. Quelli che si sono sempre proclamati i migliori, i più evoluti, i più democratici, inginocchiandosi davanti a ogni ideologia e potere sovranazionale. Durante la pandemia li abbiamo visti all’opera, zelanti nel controllo, inflessibili nel giudizio, convinti di incarnare la virtù.

La società si è trasformata in un campo di rieducazione ideologica dove il dissenso è malattia e l’obbedienza è eroismo. La salute pubblica si è fatta religione laica, vaccinarsi un atto di fede, il green pass un lasciapassare morale. Chi dubitava era eretico. La scienza si è piegata al potere politico e i cittadini sono divenuti inquisitori.

In questa costruzione del dualismo sano/malato rientra anche la demonizzazione della virilità, un processo storico iniziato con la Prima guerra mondiale, quando milioni di uomini morirono in trincea. La Seconda guerra mondiale ha poi proseguito l’opera annientando intere generazioni maschili e creando un vuoto di autorità. Le donne hanno preso nuovi ruoli nella società, ma invece di trovare un equilibrio l’uomo è stato gradualmente esautorato.

Negli anni ’60 è arrivata la rivoluzione sessuale, seguita da un femminismo che ha colpevolizzato sistematicamente il maschio, predicandone l’inferiorità morale. Negli ultimi due decenni, l’offensiva woke ha chiuso il cerchio. Il maschile deve essere cancellato per lasciare il posto a identità fluide e a ruoli intercambiabili. L’uomo è disarmato, castrato culturalmente ed educato alla vergogna. Essere forte, protettivo e autorevole è diventato sospetto.

Il linguaggio ha agito da cavallo di Troia: “maschilista”, “tossico”, fino a imporre ai giovani un messaggio di arrendevolezza e conformismo.

Il pensiero woke, che inizialmente nasceva con promesse di uguaglianza e inclusione, è diventato una macchina inquisitoria che divide e costruisce gerarchie morali su identità fragili e vittimismi selettivi. Chi non si allinea viene escluso. Sei bianco, maschio, eterosessuale, forte e convinto delle tue idee? Sei il problema.

Il linguaggio diventa così un campo minato dove dare opinioni non allineate è violenza e difendere la propria identità è fascismo.

L’Occidente ama definirsi faro di civiltà, libertà e democrazia, ma finanzia guerre infinite “per la libertà”, esporta diritti con le bombe e destabilizza continenti con una doppia moralità ipocrita.

Quando emerge un uomo forte, radicato e determinato, che non si piega ai dogmi, scatta il panico e lo si etichetta come “autoritario”, “pericoloso”, “non europeo”. Ciò che spaventa l’Occidente non è la guerra, ma la forza vera, quella che non ha bisogno di permessi da Washington o Bruxelles.

I “sani” hanno fallito.

Hanno prodotto uomini fiacchi, cittadini viziati e giovani persi. Hanno reso il dissenso una malattia e la debolezza una virtù. Hanno celebrato la fragilità e ora raccolgono rovine.

Ma la terra, la guerra e la vita vera chiedono forza, radici e identità. Perché la crisi non è solo politica, è antropologica. Abbiamo smarrito l’essere umano capace di decidere, costruire e proteggere, ma il futuro non chiede permesso: si conquista. Sarà forte, saldo, incarnato, oppure non sarà affatto.

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