Perché al Nazionalismo italiano conviene Trump
Perché al Nazionalismo italiano conviene Trump

Perché al Nazionalismo italiano conviene Trump

Di G. B.

Che significa MAGA?

Make America Great Again, che Steve Bannon decise di riprendere, quando Trump scese in politica, da un discorso rivolto da Benito Mussolini al popolo americano e agli italo-americani, significa anzitutto, evento invero raro nella storia contemporanea, un’America a trazione strategica Nazionalista anti-britannica e anti-francese. Kissinger, fedele suddito britannico, perde ed esce finalmente dalla finestra della storia, dunque: il Nazionalismo antimperialista americano è sulla via della vittoria, se Trump potrà finalmente insediarsi il 20 gennaio. Decostruzione dello Stato amministrativo onnipervadente (Big Government), che ha dato prova del suo assolutismo anti-popolare elitista nei giorni del Covid e dell’alleanza tattica tra i Dems e il partito comunista cinese sotto la regia di Davos, e debito pubblico quali principali minacce alla Sicurezza Nazionale sono ora le sfide che il movimento nazionale americano dovrà affrontare. Trump, rappresentante della destra sociale o vagamente socialista americana, non prende affatto ordini da Musk, come piace far credere dalla stampa di Davos; ma deve per forza tenere in considerazione chi lo ha portato così in alto, ovvero MAGA o America First, galassia anche questa che si ispira apertamente all’America anti-britannica e anti-sovietica degli anni Trenta dello scorso secolo, ossia al movimento populista e nazionalista americano, che sta molto più a “destra” di Donald. Il miracolo storico, Rivoluzionario, del MAGA è che ha mandato in frantumi il Grande Reset di Davos e partito comunista cinese, che nei lugubri e minacciosi giorni del lockdown mondiale sembrava irreversibile.

Henry Carey, il padre di America First

Il pensatore Henry Carey, citato più volte da Trump nel corso della sua precedente presidenza, è il padre del Nazionalismo americano. Il movimento nazionalista americano ha sempre avversato il concetto di schiavitù, praticato dalla frazione di discendenza europea, proprio perché avrebbe frenato alla lunga la crescita degli Stati Uniti, dato che in omaggio ai dogmi astratti del liberismo, del liberoscambismo e del libero mercato imperiale abbassava il valore degli esseri umani, della forza lavoro, come riduceva gli stessi investimenti di capitale e le stesse manifatture di produzione e tecnologia. L’accusa alla globalizzazione era che riducendo i salari ciò andava a scapito della qualità della produzione e del lavoro. Si è poi visto che i Nazionalisti avevano ragione; l’occidente ha perso la guida tecnologica e la produzione su larga scala, tutti vuoti riempiti dal partito comunista cinese, il cui modello espansionista, si interrogano ora i nazionalisti di America First, è anche esso sul punto di divenire Imperialista, proprio ora che gli USA stanno facendo marcia indietro. Se multinazionali e mercati di capitali hanno guadagnato in termini finanziari con la delocalizzazione, alla lunga l’occidente ha così perso però la guida globale; distruzione dei ceti medi, rivolte populiste e nazionaliste interne proprio contro questo modello di democrazia liberista imperialista, hanno finito per rimettere tutto in discussione, riportando in auge il modello di democrazia plebiscitaria anti-liberista degli anni trenta, modello attuato per primo da Viktor Orban a Budapest. Non diciamo anti-liberale o illiberale dato che il liberalismo scomparve dalla storia già dal 1914, essendo stato il Novecento il secolo della guerra civile globale tra Nazionalisti e Internazionalisti; non ha perciò senso parlare ancora di liberalismo.

Italia e America First

L’Italia deve velocemente cambiare rotta rispetto al modello subimperialista e neocon (russofobo) adottato dal febbraio ’22 a ora, in quanto del tutto deviazionista rispetto alla propria via strategica maestra nazionale. Tutte le principali forze politiche italiane, se si eccettua un illuminato e coraggioso discorso del ministro Crosetto in sede NATO di alcuni mesi fa, sono state tra i grandi sponsor internazionali della continuazione a oltranza della guerra russofoba e imperialista. Al tempo stesso nessuna forza politica ha messo in luce il fatto che non si è fatto abbastanza per tenere aperto al traffico economico il canale di Suez, che per l’Italia significa respiro e vita; tra i gruppi tattici di portaerei là, vi è appena una corvetta. Craxi, il più grande statista italiano del dopoguerra, fu un convinto neo-atlantista, ossia riconosceva un ruolo all’Italia nazionalista, autonoma, pur integrata nell’occidente ma al tempo stesso rifiutava ogni subalternità e ogni subimperialismo del nostro popolo e della nostra nazione. Ce lo dicano americani, russi, indiani o cinesi (gli unici in teoria che potrebbero) se un’azione di politica internazionale contrasta con la nostra linea strategica, che è sul Mediterraneo, né in Ucraina né altrove, la nostra risposta non potrà che essere un cordiale diniego. La Linea Nazionalista Craxi non può che essere la nostra linea di oggi, dei tempi che verranno. Come non abbiamo creduto nel globalismo, tanto meno crediamo oggi nell’Eurasia o nei BRICS, crediamo nella forza millenaria di Nazione e Popolo e crediamo perciò nell’inscindibilità delle forze opposte e antagoniste; di conseguenza vediamo la possibilità di uno scontro civile globale guidato da una potenza Imperialista in ascesa, da un lato, e dall’altro da un nazionalismo “occidentale” reattivo e antagonista. Assai importante il ruolo centroeuropeo, o mitteleuropeo, di cerniera o polveriera.

Cina e America First

È sin troppo chiaro che in Asia si deciderà il futuro mondiale; questa elementare valutazione non deve scoraggiare il nazionalismo italiano, che non è condannato all’impotenza strategica se consapevole di dover affilare esclusivamente le proprie armi tattiche. Dall’analisi della situazione concreta non si può che trarre il pensiero che saranno decisive, più del resto, le purghe al Pentagono e alla CIA, che finiranno per tagliare ogni eventuale contatto tra la sicurezza nazionale americana e quella britannica o l’MI6. Sarà di conseguenza assai più difficile colpire gli USA, mediante l’Italia come si ricorderà, con la guerra liminale da Covid 19 aggiornata, come avvenuto circa 4 anni fa. Se il Nazionalismo americano ha concluso le sue possibili ritirate strategiche, ciò vale ancora di più per il partito comunista cinese o Davos. Senza scomodare la famosa “trappola di Tucidite” sarà inevitabile per il partito comunista cinese radicalizzare, dunque, sempre di più la propria posizione Internazionalista, soprattutto nel proprio campo di retrovia europea e mediorientale. Dalla reazione, anche questa altrettanto inevitabile, che la sicurezza nazionale americana (non Musk dunque e ci dispiace sinceramente per i media globalisti) deciderà di prendere dipenderà il futuro del mondo, e anche quello dell’Italia.

L’altra ipotesi, di una nazionalizzazione isolazionista o “liberalizzazione” della Grande Cina o Impero di mezzo, non può per il momento nemmeno essere presa in esame data la sua momentanea irrealtà.