Operazione Shingle: fra luci e ombre dello Sbarco di Anzio
Operazione Shingle: fra luci e ombre dello Sbarco di Anzio

Operazione Shingle: fra luci e ombre dello Sbarco di Anzio

Condividi

Operazione Shingle è il nome in codice di una delle operazioni anfibie più rilevanti nell’ambito della Seconda guerra mondiale: lo sbarco di Anzio o, più precisamente, di Anzio e Nettuno.
La zona costiera del porto di Anzio durante il ventennio fascista comprendeva anche la località di Nettuno e il nome con cui l’intero complesso costiero veniva identificato era Nettunia. L’operazione, fortemente voluta dal Primo Ministro Britannico Wiston Churchill, aveva come scopo principale quello di sbloccare l’impasse in cui gli schieramenti alleati si erano venuti a trovare presso Cassino e lungo la linea difensiva tedesca, la linea Gustav. L’obbiettivo finale dell’operazione era la liberazione di Roma, evento di vitale importanza sia da un punto di vista strategico che simbolico.
L’azione, definita da Winston Churchill   ‘’la zampata del gatto’’[1]fu discussa già dal novembre del 1943, ma ebbe inizio all’alba del 22 gennaio 1944. Le spiagge di Anzio e Nettuno erano l’ideale per una serie di sbarchi anfibi così come il terreno nell’entroterra risultava favorevole per la manovra e per una veloce marcia sulla capitale, distante circa 20 miglia.
L’azione, coordinata fra i comandi alleati, prevedeva che L’VIII Armata Britannica attaccasse lungo la linea Gustav[2], agganciando le forze tedesche in linea ed impegnando le riserve. Contemporaneamente, il VI Corpo d’Armata americano, al comando del generale Lucas, sarebbe sbarcato ad Anzio. Nel settore chiamato X Ray Beach (zona di sbarco americano e oggi corrispondente a una decina di chilometri fra il porto di Anzio e Torre Astura)[3] sarebbero sbarcato 26000 unità fra soldati e mezzi; mentre su Peter Beach (da Tor Caldara a San Lorenzo)[4], zona di controllo inglese, ne dovevano sbarcare circa 9000. Sfruttando l’effetto sorpresa, in seguito allo sbarco sul litorale, le truppe avrebbero dovuto muovere verso Roma, tagliando le linee di rifornimento tedesche dislocate fra la capitale e Cassino, di fatto isolando e costringendo alla resa le armate tedesche.
Tuttavia, ciò non avvenne. Pur riuscendo tatticamente nello sbarco e incontrando poca o nessuna resistenza da parte tedesca, l’avanzata alleata ben presto si arenò completamente. Ruolo chiave in questo ‘’ fallimento’’ fu la decisione del generale Lucas di attendere rinforzi, dando quindi il tempo materiale agli avversari di superare la sorpresa iniziale e riorganizzarsi e, di fatto, vanificando l’effetto sorpresa dello sbarco. I tedeschi già preparati alla possibilità di uno sbarco anglo- americano (anche se fortemente convinti si sarebbe verificato nei pressi della capitale[5]) riuscirono a bloccare gli alleati in una testa di ponte profonda 11 km e larga 24.
L’operazione, fin dalle sue fasi iniziali, ebbe un iter travagliato tanto da divenire una sorta di unicum nella storia particolare della Seconda guerra mondiale. L’esito fu ben diverso da quello sperato durante la sua progettazione e, nel corso degli anni successivi, i motivi vennero addotti alle più disparate cause. Quel che ne risulta, in un’analisi attenta a ogni dettaglio, è la difficoltà di stabilire se essa sia stata un successo – da un punto di vista militare – o un fallimento. Molti interrogativi a riguardo sono ancora aperti e le risposte stentano a venir a galla.
Cercando di ricostruire una breve storia e una conseguente analisi dello sbarco sarà opportuno rievocare, seppur in maniera succinta, il contesto in cui esso avvenne.

Il 1943
In particolare, sarà opportuno considerare l’ultimo trimestre del 1943. L’anno in questione fu fondamentale per l’avanzata anglo-americana lungo le coste del Mediterraneo. Il 1943 fu anche l’anno che segnò il disgregamento dello Stato Fascista, evento che fu preludio allo sconvolgimento dell’8 settembre con la capitolazione dell’esercito e il Proclama Badoglio, in concomitanza, per di più, con lo sbarco della V Armata americana a Salerno. Da parte tedesca, la defezione italiana aveva innescato l’Operazione Achse che prevedeva una possibilità di ritirata italiana dal conflitto e la conseguente invasione, da parte delle truppe tedesche, della penisola. Il tentativo tedesco di respingere lo sbarco a Salerno però fu presto bloccato dall’aviazione alleata. Durante il mese di settembre il Comando Supremo tedesco si limitò al tentativo di frenare l’avanzata verso nord[6]. Le Grandi Unità germaniche erano divise in due blocchi: le armate del nord (il Gruppo d’Armate B) agli ordini del maresciallo Rommel e quelle del centro- sud (Gruppo di Armate C) agli ordini del maresciallo Kesselring. L’assenza di un preciso piano strategico per contrastare l’avanzata anglo-americana risiedeva principalmente nella diversità di vedute dei due marescialli.
Rommel intendeva bloccare l’avanzata o quanto meno rallentarla anche al costo di abbandonare Roma, bloccando gli Alleati su una linea difensiva snodantesi fra il Tirreno e l’Adriatico (la futura linea Gotica); Kesselring, d’altro canto, proponeva una linea difensiva a sud di Roma. Tale linea partendo dalla foce del Garigliano (un fiume segnante il confine fra Lazio e Campania) avrebbe dovuto sbarrare la valle del Liri e, ovviamente, Cassino e tramite gli Appennini raggiungere la zona del Sangro. A prevalere fu la strategia difensiva di Kesselring, tenuto conto anche della volontà di Mussolini di assicurare la difesa di Roma, città simbolo in quanto capitale di una delle forze dell’Asse.[7]
Kesselring fu nominato Comandante in capo del fronte italiano a partire dal 1° ottobre; ai suoi ordini poteva disporre della IV Armata (in forza al Nord Italia) e la X Armata dislocata nel centro-sud e impegnata nella difesa di Roma.
I preparativi tedeschi non vennero captati dal servizio di informazione britannico se non dopo la metà di ottobre. L’iniziale clamore che seguì il riuscito sbarco a Salerno venne raffreddato dalla notizia della decisione tedesca di difendere Roma e dunque non ritirarsi al Nord ma anche dalla novità della costruzione di una linea difensiva fortificata (a opera dell’Organizzazione Todt). Tuttavia, l’entusiasmo britannico e alleato non venne spento del tutto. La convinzione di riuscire a spazzar via la resistenza tedesca nel centro- sud e costringere il nemico alla ritirata verso Nord non venne meno. Questa certezza poggiava su una serie di convinzioni: innanzitutto la supremazia dell’aviazione alleata, che aveva già giocato un ruolo fondamentale nello sbarco di Salerno; il fatto che nessun impedimento di tipo naturale o artificiale sembrava essere in grado di frenare l’avanzata alleata nel Mediterraneo; e per ultimo la constatazione che le truppe tedesche non disponessero più di mezzi o della forza che invece avevano avuto nei primi anni della guerra. A ciò si univa un clima generico di disfattismo che sembrava serpeggiare fra i soldati tedeschi.[8]
Da parte tedesca, al contrario, si respirava un clima di fiducia rispetto ai propri mezzi e alla prontezza dei soldati, il che lasciava sperare l’Alto Comando in una subitanea risposta in caso di aggressione alleata. Inoltre, si tendeva a escludere la possibilità di uno sbarco durante il periodo invernale per gli evidenti problemi che ciò avrebbe comportato.
Come già detto in precedenza, il comando alleato propense per uno sbarco alle spalle delle linee nemiche, essendo a conoscenza della linea difensiva che sbarrava la valle del Liri. Lo sbarco ebbe luogo nella notte fra il 21 e il 22 gennaio e per lo più l’operazione fu indisturbata, a causa della scarsa difesa tedesca incontra lungo il litorale. Ma l’esiguità delle forze dispiegate da parte di inglesi e americani e la lentezza delle operazioni di sbarco si rivelarono un errore fatale che permise il fulmineo contraccolpo tedesco. I tentativi degli alleati di avanzare oltre la zona costiera furono prontamente bloccati dalla risposta delle truppe tedesche, vanificando i piani anglo-americani e infliggendo forti perdite di uomini e mezzi. Emblematica, in tal senso, è la battaglia di Cisterna dove il I e il III Battaglione Rangers del colonnello Darby furono letteralmente distrutti.

Lo sbarco di Anzio divenne un cocente fallimento per gli alleati: passato l’effetto sorpresa il nemico non ne rimase affatto impressionato.
Tuttavia, pur mostrando efficacia e prontezza anche l’esercito tedesco dovette soccombere al fallimento della propria risposta all’operazione Shingle. La superiorità aerea, così come la presenza di un supporto navale alleato non comparabile a quello della Sicilia o di Salerno[9], indussero l’Alto Comando a credere di poter eliminare la testa di ponte in cui avevano bloccato gli alleati, in un periodo di tempo esiguo, determinando così non solo un successo militare e strategico ma anche propagandistico e di conseguenza infondendo nuovo ottimismo nelle truppe stanche. La testa di ponte, al contrario delle rosee aspettative tedesche, rimase pressoché stabile per molti mesi alimentando lo spirito combattivo e la resistenza dall’una e dall’altra parte e dando adito al sarcasmo tedesco che la definiva ‘’il più grande campo autogestito di prigionieri di guerra’’[10].
Fu solo con la sostituzione (voluta da Clark) del generale Lucas col generale Truscott a partire dal 25 febbraio che la situazione – seppur lentamente, in quanto il periodo tra febbraio e maggio vide un lungo stallo instaurarsi tra le due fazioni – cominciò a evolvere.

                          
Ma perché si parla di fallimento?

Le truppe alleate finirono con l’impantanarsi – nel vero senso della parola, anche a causa delle condizioni metereologiche – per lunghi mesi in uno stallo strategicamente inutile. Lo sbarco di Anzio non comportò un vero e proprio momento chiave nell’avanzata lungo la penisola italiana e non accelerò l’offensiva delle truppe alleate e la conseguente liberazione del paese. Per mesi alleati e tedeschi si fronteggiarono, per lo più in scaramucce singole e di poco peso, fino a maggio quando le operazioni belliche ripresero con più spinta e maggior vigore e riuscirono a forzare la resistenza nemica anche per via di un progressivo sfondamento nei pressi di Terracina (da parte delle truppe francesi) che permise di raggiungere la zona del frusinate. Di fondamentale importanza per la ripresa di azioni belliche significative fu la capitolazione di Montecassino, conquistata dai polacchi il 18 maggio. Ciò costrinse i tedeschi a ritirarsi dalla zona, percorrendo la Casilina e l’Appia. Successivamente, con l’operazione Buffalo[11] gli anglo-americani presero Cisterna, costringendo i tedeschi a una strenua resistenza e perdendo, in tal modo, un numero consistente di uomini. A dare sprone alle azioni alleate e in particolare del generale Clark fu l’imminenza di un’altra iniziativa – destinata ad avere una rilevanza e un’importanza strategica ben diversa – l’operazione Overlord. La notizia della nuova offensiva (che sarebbe avvenuta il 6 giugno del 1944) spinse il generale Clark ad affrettarsi verso la capitale e, così facendo, interrompendo la direttrice d’attacco[12] prestabilita mirante a sbarrare il ripiegamento del XIV Corpo d’Armata tedesco in ritirata da Cassino. Clark diresse le truppe verso la capitale, ansioso di prendere per sé la gloria di essere il primo generale alleato a mettere piede nella città liberata e il 4 giugno le truppe alleate entrarono a Roma, abbandonata dai tedeschi in ritirata.
Il fallimento dell’operazione Shingle però servì e in modo particolare. Fu una lezione imparata in fretta, nonostante la sua portata di devastazione e perdita, che preservò la successiva operazione anfibia Overlord dal ricadere negli stessi errori.
Secondo le parole dello storico e studioso Roberto Battaglia: «Solo dopo il fallimento dello sbarco di Anzio si provvide seriamente ad organizzare l‘operazione “Overlord”, rimasta fino a quel momento soltanto allo stadio di un piano di stato Maggiore.»[13]
Con Operazione Overlord passò alla storia lo sbarco più famoso della seconda guerra mondiale: quello che avvenne sulle spiagge della Normandia il 6 giugno 1944.
La lezione di Anzio fece sì che un numero più consistente di forze venissero impiegate per lo sbarco in Normandia; che paracadutisti fossero impiegati oltre le linee, sulla costa, per approntare caposaldi difensivi e che le truppe non si acquartierassero sulla spiaggia ma avanzassero verso l’interno.[14] Il merito di Anzio fu anche quello di impegnare quasi totalmente la XIV armata tedesca, che venne trasferita al sud, appunto nella zona dello sbarco. Diversamente, tali forze sarebbero state impiegate per contrastare le forze alleate dell’operazione Overlord. Lo stesso Kesselring, in un’intervista del dopoguerra, dichiarò che se le forze tedesche non fossero state massicciamente impegnate a contrastare l’operazione anfibia ad Anzio, difficilmente gli anglo-americani sarebbero potuti passare in Francia.[15]
È un giudizio che riporta direttamente al cuore del discorso: lo sbarco di Anzio fu un successo militare o un fallimento, per gli alleati? Senza dubbio si può avanzare l’ipotesi che fu un fallimento per quanto riguardava gli obbiettivi con cui gli alti comandi alleati avevano dato vita all’operazione e che costò la vita a un numero esorbitante di uomini, così come fece pagare ad America e Inghilterra un ingente dispiegamento di mezzi. Non raggiunse i risultati stabiliti nel tempo in cui avrebbero potuto fare la differenza e certamente non li raggiunsero come era stato preventivato ma nonostante questo permise comunque agli alleati di avanzare verso Roma e di far arretrare i tedeschi verso il nord. E, ancor di più, come abbiamo visto valse da lezione per quella che, senza timore di esagerare, possiamo affermare essere stata una delle più grandi operazioni militari che davvero permisero alle sorti della guerra di essere ribaltate e che aprirono la via alla liberazione europea dal giogo nazista.
In definitiva, si può affermare come luci e ombre si contendano in egual misura l’operazione Shingle e tutt’ora molti interrogativi rimangono privi di una risposta. Per gli alleati si trattò di una vera e propria scommessa che rischiò di mutarsi in una catastrofe di enormi proporzioni, non solo vanificando il sacrificio umano ma rendendo vani anche i tentativi bellici di sbloccare una situazione che sembrava destinata a perdurare a lungo. Fu, con buona probabilità, la maggior potenza di fuoco disponibile degli alleati a evitare il disastro e ribaltare le sorti della guerra, ma lo scontro – per via anche dell’abilità e della tenacia nemica – fu vinto per un soffio.


[1] Francesco Mattesini Operazione “Shingle”. Lo sbarco e la battaglia di Anzio, 22 gennaio – 4 giugno 1944, ARCHEOS srl 2021

[2] Mattesini Operazione ‘’Shingle’’. Lo sbarco e la battaglia di Anzio cit.

[3] https://www.operationshingle1944.it/x-ray-beach-us.html

[4] Mattesini Operazione ‘’Shingle’’. Lo sbarco e la battaglia di Anzio cit.

[5] Mattesini Operazione ‘’Shingle’’. Lo sbarco e la battaglia di Anzio cit.

[6]  Orlandini Sisto, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», Il Secondo Risorgimento d’Italia, a cura dell’Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione inquadrati nei Reparti Regolari delle FF.AA.

[7] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[8] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[9] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[10] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[11] Massimo Pacetti, «Viaggio nei luoghi della Battaglia di Aprilia: l’operazione Buffalo e la liberazione della città», Sfera Magazine, 29 dicembre 2018

[12] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[13] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[14] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.

[15] Orlandini, «Lo sbarco di Anzio nel quadro generale della campagna d’Italia», cit.